Cibernetica e controlli automatici

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Utente 16812

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L'AUTOMAZIONE
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Cos'è un processo produttivo ?
Per processo produttivo s'intende l'interazione di diversi "mezzi" (i fattori produttivi ossia le persone, i macchinari, i materiali, l'energia, ecc.) al fine di ottenere un certo prodotto. I processi produttivi possono essere continui (ad es. la produzione di energia elettrica), semi-continui (ad es. nel caso dell'industria alimentare, in cui le lavorazioni sono caratterizzate da una serie di operazioni eseguite su un certo numero di pezzi uguali, chiamato "lotto") e discontinui (tipici dell'industria manufatturiera, in cui le singole lavorazioni vengono effettuate su un pezzo per volta, anche su più linee "convergenti"). Nell'ambito dei processi produttivi industriali assume estrema importanza il concetto di "controllo di processo", inteso come interazione di diversi mezzi allo scopo di far "evolvere" il processo secondo le specifiche richieste per i prodotti da ottenere. Sia i processi che i controlli di processo possono essere effettuati manualmente o automaticamente ma i controlli automatici hanno avuto (e continuano ad avere) una larga diffusione dovuta ai notevoli vantaggi che hanno apportato da un punto di vista sia tecnologico che economico-sociale. Pertanto per "automazione" s'intende l'interazione di più mezzi che permette di evitare attività di tipo manuale sia per quanto concerne le singole fasi di lavorazione che per quanto riguarda i controlli di processo. L'automazione ha una natura essenzialmente multi-disciplinare, che coinvolge diverse discipline specialistiche: l'elettrotecnica, l'elettronica, la meccanica, l'informatica. Si delinea quindi quell'aspetto che nella pratica dell'automazione viene definito come "cultura meccatronica". Come si ottiene l'automazione di un processo produttivo ?
Si ottiene attraverso l'impiego di diverse apparecchiature interconnesse in modo tale da formare un "comando automatico", ossia un sistema che in generale risulta costituito da tre elementi: 1) il blocco di comando (che coordina tutte le operazioni atte ad effettuare l'automazione richiesta); 2) il blocco di potenza (cioè la parte "di lavoro" vera e propria, che realizza materialmente l'operazione da automatizzare); 3) il blocco di comunicazione (ossia l'interfacciamento che consente lo scambio delle informazioni tra le altre due parti del comando). Il principio di funzionamento di un comando automatico si basa sull'utilizzo di "sensori" che prelevano informazioni sul processo e generano segnali di "consenso" che vengono inviati al blocco di elaborazione, il quale elabora, a sua volta, tali informazioni; i risultati dell'elaborazione vengono, infine, inviati, sotto forma di "segnali di comando", al blocco di potenza (ossia agli organi "attuatori"). In sintesi possiamo affermare che gli elementi di potenza costituiscono i "muscoli" del sistema mentre gli elementi di comando inviano gli "stimoli" ai muscoli, definendo l'evoluzione del sistema stesso.
A presto
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P.S. Inutile ricordare che nel campo dell'automazione l'applicazione del concetto di retroazione (illustrato precedentemente), in particolare di quello della retroazione negativa, è di fondamentale importanza.
https://www.tecnoapp.net/cosa-si-intende-automazione/ (un po' di storia dell'automazione)
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SISTEMI DI CONTROLLO
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Nei precedenti interventi abbiamo visto che un sistema di controllo automatico è costituito dalla parte di comando e dalla parte operativa: la parte di comando elabora, tramite un microprocessore, il processo e i rilevatori (trasduttori) forniscono gli input in forma digitale o analogica (in questa parte del sistema sono inclusi anche i dispositivi di interfacciamento uomo-macchina, il cosiddetto "blocco di comunicazione", come già detto) mentre la parte operativa è formata da attuatori elettromeccanici che operano materialmente sull'operazione da automatizzare.
Dal confronto tra le informazioni di input provenienti dai trasduttori e quelle predisposte dalla logica di funzionamento del sistema scaturiscono le azioni che verranno trasmesse agli organi di comando e di visualizzazione.
Avendo, pertanto, incontrato in buona sostanza tutti gli elementi più importanti di un sistema di controllo, possiamo ora definire in modo formale cosa sono i sistemi sotto controllo, le variabili coinvolte e i disturbi:
1) il sistema sotto controllo è quel sistema (o processo) su cui opera il controllo;
2) le variabili d'uscita, a cui si impone di avere un andamento prefissato in fase progettuale, vengono definite variabili "manipolabili" (o controllate);
3) le variabili d'ingresso, in grado di "condizionare" il funzionamento del sistema, sono chiamate variabili "di manipolazione" (o di controllo);
4) i disturbi, detti anche variabili "non manipolabili" (in pratica non possono essere misurati, se non con apparecchiature molto costose), possono essere additivi (ossia "esogeni", esterni al sistema) o parametrici (cioè "endogeni", interni al sistema).
Il sistema, operando ad anello chiuso, viene reso indipendente dai disturbi e dalla variazione dei parametri, migliorando in tal modo le sue caratteristiche di regolazione.
Molto importante è il concetto di "guadagno", vale a dire la costante di "trasferimento" del segnale lungo il "loop" di retroazione: maggiore è il guadagno, più efficace è la retroazione.
Tuttavia è da evidenziare il fatto che se si aumenta troppo il guadagno d'anello, il sistema può diventare "instabile"; in tal caso è possibile che si inneschino delle oscillazioni di ampiezza sempre più elevata.
In un sistema di controllo automatico i concetti di sistema stabile, instabile e neutro, sia staticamente che dinamicamente, sono fondamentali: qui ne darò solo un accenno in quanto sul problema della stabilità ci sarebbe molto da scrivere (mi auguro di riparlarne in futuro).
Per stabilità s'intende la "risposta" di un sistema sul lungo termine, ovvero la capacità di tornare alle sue condizioni normali di funzionamento in seguito a "sollecitazioni" temporanee che tendono a farlo allontanare dal suo equilibrio operativo.
A presto ;)

P.S. Per chi volesse approfondire questi concetti, allego le dispense del mio professore di "Cibernetica Generale", Giovanni V. Pallottino:
https://www.phys.uniroma1.it/DipWeb/web_disp/d6/dispense/Pallottino_cibern.pdf :ok:
 
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TIPI DI CONTROLLO
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Vediamo quali sono le varie tipologie di controllo che un controller è in grado di attuare, in base ai differenti casi.
I controlli di tipo continuo si suddividono in: 1) controlli derivativi, nel caso in cui il controller agisce sull'ingresso del sistema con valori proporzionali alla derivata dell'errore; 2) controlli integrativi, quando il controller agisce sull'ingresso del sistema con valori proporzionali all'integrale dell'errore; 3) controlli proporzionali, in cui il controller agisce sull'ingresso con valori proporzionali all'errore.
I controlli di tipo ON-OFF sono quei sistemi in cui il controller è in grado di attivare o disattivare l'attuatore in base all'errore.
I controlli di tipo digitale sono basati su sistemi di programmazione e algoritmi implementati da CPU e si suddividono in controlli digitali ad anello chiuso e controlli diretti (sempre digitali).
Infine ci sono i controlli di potenza in corrente alternata.
Le operazioni matematiche più importanti, utilizzate nel progetto di un sistema di controllo, sono l'integrale (negli schemi a blocchi viene rappresentato come un "blocco" integratore) e la derivata (il "blocco" derivatore).
Il blocco integratore riceve in ingresso un segnale che è funzione del tempo e restituisce in uscita un segnale che individua l'integrale del segnale d'ingresso (ossia l'area sottesa dalla funzione in ingresso dall'istante t=0 fino ad un generico istante t). Ad esempio, nel caso dell'integrale di una funzione costante, il blocco integratore restituisce in uscita un segnale che cresce linearmente nel tempo, con una pendenza pari all'ampiezza costante del segnale d'ingresso. Il blocco derivatore, similmente all'integratore, riceve un segnale in ingresso, funzione del tempo, e genera in uscita un segnale che rappresenta la derivata dell'ingresso.
Ricordo che la derivata di una funzione in un suo punto definisce geometricamente la pendenza della tangente (geometrica) della curva in quel punto.
Fisicamente la derivata (ad un istante t) misura la rapidità con cui un processo varia nel tempo.
Nel caso, ad esempio, di una funzione in ingresso che varia linearmente nel tempo (con una determinata pendenza), l'uscita del derivatore fornisce un segnale costante, di ampiezza pari alla pendenza del segnale lineare d'ingresso.
I blocchi di controllo integratore e derivatore possono essere implementati elettronicamente.
A presto ;)

P.S. Ricordo che un controllo automatico di tipo continuo si ha quando i parametri che ne individuano il funzionamento assumono valori variabili con continuità all'interno di un certo intervallo di variabilità (i sistemi di controllo e alcune applicazioni di pneutronica e oleotronica sono di tipo continuo).
In un controllo automatico di tipo ON-OFF i componenti funzionano in base alla logica binaria (si tratta, in definitiva, di sistemi discontinui), per cui possono essere progettati col supporto dell'algebra booleana.
 
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EQUAZIONI DIFFERENZIALI
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Un'equazione differenziale (E.D.) è un'equazione in cui, oltre alle solite operazioni algebriche, sono presenti anche operazioni di derivazione o di integrazione. Dato che, generalmente, le derivate e gli integrali si applicano a funzioni, ne consegue che le due variabili di una E.D. sono entrambe funzioni di una terza variabile indipendente (ad esempio, il tempo).
Nello studio dei sistemi di controllo, come sappiamo, le E.D. più importanti sono quelle lineari a coefficienti costanti.
Cosa vuol dire "lineari" ?
Lineari significa che tutti i termini dell'E.D. sono elevati alla prima potenza, si tratta di una caratteristica tipica di tutti i sistemi lineari, senza ritardi finiti (ossia che rispondono istantaneamente alle variazioni della variabile in ingresso), per i quali è valido il principio di sovrapposizione degli effetti.
L'espressione analitica generale di una E.D. è la seguente: … a2*y"(t)+a1*y'(t)+a0*y(t)=b0*x(t)+b1*x'(t)+b2*x"(t)+ …, in cui a e b sono i coefficienti costanti, x(t) e y(t) sono funzioni di t e x^i e y^i sono le derivate di ordine i.
Se ci si trova di fronte ad una equazione con derivate e integrali, siamo in grado di "risalire" alla forma descritta, derivando tante volte fino a far scomparire gli integrali.
Non mi soffermerò sulla risoluzione di un'E.D., che si presuppone nota, ricordo soltanto che deve essere nota una delle due funzioni, ad es. x(t), e poi si cerca una y(t) che sostituita nell'espressione la verifichi.
In sintesi si tratta di individuare un legame che "instaura" una corrispondenza biunivoca tra le infinite coppie di funzioni che verificano l'equazione data.
Perché è importante tutto questo ?
Perché in generale in ogni sistema fisico esiste sempre un legame biunivoco tra ingresso e uscita, per cui si comprende che l'E.D. può risultare utile per cercare il suddetto legame tra tutti i possibili ingressi del sistema e le relative uscite.
In cibernetica questo legame viene identificato come "modello matematico del sistema" e costituisce la premessa fondamentale per lo studio di qualsiasi sistema di controllo automatico.
Per fare un esempio, i componenti più semplici dell'elettrotecnica (i condensatori, gli induttori, ecc.) e della meccanica (la molla, la massa, ecc.) sono caratterizzati da un legame di tipo differenziale che è l'espressione di una determinata legge fisica, la quale solitamente nei libri di testo degli istituti superiori viene descritta in termini finiti anziché differenziali (a meno che gli allievi non conoscano già il calcolo differenziale).
Vedremo in seguito l'importanza, assunta nella cibernetica, del concetto di "analogia" tra sistemi fisici diversi, nel caso in cui le E.D. che descrivono tali sistemi siano le stesse.
A presto ;)

P.S. http://www.edutecnica.it/sistemi/analogie/analogie.htm :sisi:
 
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ANALOGIE ELETTRO-MECCANICHE (ED ELETTRO-IDRAULICHE)
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Nell'articolo precedente ho accennato al concetto di "analogia" tra fenomeni fisici diversi, nel caso in cui le E.D. che li descrivono siano uguali nella forma anche se le grandezze che vi sono coinvolte sono diverse.
Particolare importanza, nello studio dei sistemi di controllo, hanno le analogie elettro-meccaniche (vedremo in seguito quelle elettro-idrauliche) nell'analisi della trasmissione delle vibrazioni nei sistemi meccanici; è possibile applicare, su tali sistemi (ossia sui corrispondenti schemi elettrici), tutti i metodi di risoluzione delle reti elettriche, compresi quelli riguardanti lo studio di correnti alternate.
In pratica si tratta di risolvere n equazioni algebriche lineari a coefficienti complessi e ciò costituisce una notevole semplificazione rispetto alla risoluzione di n E.D. lineari a coefficienti costanti senza l'uso delle analogie.
Vediamo alcune di queste "analogie" elettro-meccaniche:
1) la corrente elettrica corrisponde ad una forza meccanica;
2) la tensione corrisponde ad una velocità relativa;
3) il condensatore corrisponde ad una massa (la capacità C corrisponde all'inerzia m);
4) l'induttore corrisponde ad una molla (l'induttanza L corrisponde alla cedevolezza h);
5) il resistore corrisponde ad uno smorzatore (la conduttanza G corrisponde alla viscosità v);
6) la 1^ legge di Kirchoff (ai nodi) corrisponde al principio di D'Alembert (somme delle forze in un punto =0);
7) la 2^ legge di Kirchoff (alle maglie) corrisponde al principio dei moti relativi (somma delle velocità relative su un percorso chiuso =0).
Come si nota dalle corrispondenze, le analogie "funzionano" anche a livello geometrico, vale a dire che i nodi di un circuito elettrico corrispondono a quelli della relativa struttura meccanica e le maglie elettriche sono corrispondenti a quelle di strutture meccaniche chiuse.
In conclusione vediamo brevemente alcune analogie elettro-idrauliche:
1) il condensatore corrisponde ad un contenitore (che accumula liquido), in cui l'area di base corrisponde alla capacità elettrica e il volume di liquido alla quantità di carica;
2) l'induttore corrisponde ad una turbina dotata di volano, che presenta un'inerzia rispetto alla portata del liquido;
3) la corrente corrisponde alla portata di liquido;
4) il generatore ideale di corrente corrisponde ad una pompa;
5) il generatore ideale di tensione corrisponde ad un serbatoio di capacità infinita (cioè area di base infinita), in grado di fornire qualsiasi portata di liquido senza che il livello d'acqua diminuisca.
I conduttori corrispondono alle tubazioni.
A presto ;)
 
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LA TRASFORMATA DI LAPLACE
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In un sistema di controllo la ricerca della relazione tra l'ingresso e l'uscita identifica, come già spiegato, una struttura matematica rappresentativa di un'equazione integro-differenziale in cui le incognite sono le funzioni che descrivono l'andamento delle grandezze d'ingresso e di quelle d'uscita nel tempo.
Questo tipo di operazione è fondamentale per l'analisi matematica delle "risposte" del sistema.
Ora, sicuramente lo strumento matematico, per così dire, "differenziale" è corretto in relazione all'analisi della risposta del sistema ma tale strumento "denuncia" i suoi limiti nel momento in cui si vuole operare la "sintesi" del sistema stesso, vale a dire la sua modifica per ottenere una risposta con determinate caratteristiche.
Ci rendiamo conto che i problemi di analisi e di sintesi sarebbero di più facile risoluzione se avessimo a disposizione un apparato matematico in grado di descrivere i vari "blocchi funzionali" (cioè le varie funzioni) del sistema e di "combinarli" tra loro in modo semplice: in realtà tale apparato esiste e si chiama "trasformata di Laplace".
La descrizione dei vari blocchi che deriva dall'applicazione della trasformata di Laplace costituisce la cosiddetta "funzione di trasferimento" (f.d.t.) del sistema e la combinazione di più f.d.t. avviene mediante semplici operazioni algebriche.
Cosa s'intende per "trasformazione" ?
Si tratta di una corrispondenza tra funzioni, cioè di una relazione matematica che associa ad una funzione del tempo una ed una sola funzione di una nuova variabile; per capire meglio il procedimento ricorrerò al classico esempio dell'equazione biquadratica a*x^4+b*x^2+c=0.
Alla variabile x^2 sostituiamo una nuova variabile, ad esempio t, in modo che x^2=t; la sostituzione consente di riscrivere l'equazione biquadratica di partenza in una forma più semplice: a*t^2+b*t+c=0.
Possiamo così risolvere l'equazione di secondo grado risultante dalla sostituzione tramite l'usuale formula risolutiva, ottenendo le due soluzioni t1 e t2.
Tali "radici" non sono soluzioni dell'equazione biquadratica, per ricavare le quali occorre risolvere l'equazione x^2=t per ciascuna delle radici trovate per t, ossia x^2=t1 e x^2=t2.
In pratica abbiamo "trasformato" la biquadratica originaria, passando dal "dominio" di esistenza dell'equazione in x ad un nuovo dominio in t e poi abbiamo "anti-trasformato" il risultato, cioè siamo ritornati al dominio di partenza.

350712

Conosco già le obiezioni, che spesso mi vengono sottoposte, riguardo alle complicazioni derivanti dall'applicazione di tale procedura, in quanto ad un solo passo ne vengono sostituiti quattro ma in realtà, se ci si pensa bene, i metodi "trasformazionali" vengono scelti al fine di sviluppare alcune proprietà che consentono a questi metodi di trasformare equazioni differenziali, di difficile risoluzione, in equazioni algebriche molto più semplici da risolvere.
I vantaggi sono innegabili e ne giustificano l'utilizzo generale in tutti gli ambiti disciplinari in cui si deve analizzare un sistema sia dal punto di vista statico che da quello dinamico.
Nei casi di studio di sistemi elettrici, elettronici, meccanici, ecc., le variabili appartengono al dominio del tempo mentre il dominio "trasformato", ideato da Laplace, è un dominio (astratto) in cui la variabile è un numero complesso denominato "s", composto da una parte reale e da una parte immaginaria: s=a+j*b (oppure, se preferite, s=alpha+j*omega).
L'operatore di Laplace consente, quindi, di passare dal dominio del tempo al dominio di s tramite l'integrale e^(-s*t)*f(t)*dt definito tra 0 e infinito.
350713
Per convenzione le funzioni nel dominio del tempo vengono indicate con le lettere minuscole mentre la trasformata di Laplace delle stesse funzioni è indicata con la stessa lettera, ma maiuscola (cioè L[f(t)]=F(s)).
L'anti-trasformata viene indicata con L^-1[F(s)]=f(t).
A presto ;)

P.S. La condizione di biunivocità della trasformazione impone che la f(t) sia nulla per t<0 poiché, dato che l'integrale si estende da 0 fino all'infinito, si ha che solo la parte positiva di f(t) è in grado di influenzare F(s), cioè il risultato dell'operazione di integrazione :sisi:
http://www.edutecnica.it/sistemi/laplace/laplace.htm :ok:
 
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SCHEMI A BLOCCHI FUNZIONALI
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Oggi vorrei richiamare alcuni concetti importanti, già accennati precedentemente, a proposito degli schemi a blocchi funzionali; tali schemi costituiscono la rappresentazione grafica del modello matematico che descrive un sistema fisico.
Pongo l'attenzione sul fatto che essi non sono da confondere con i blocchi "strutturali", che convenzionalmente rappresentano la "conformazione" fisica del sistema stesso (è sufficiente pensare allo schema a blocchi di un sistema di elaborazioni di dati). Come abbiamo già visto, più blocchi possono essere combinati tra loro in modo da formare un'unica f.d.t. mediante delle semplici operazioni algebriche.
Ciò vuol dire che con opportune operazioni algebriche è possibile "ridurre" lo schema di partenza in un unico blocco "equivalente", o meglio, cosa più utile, ottenere una delle seguenti configurazioni: blocchi in cascata (in serie), blocchi in parallelo e blocchi in retroazione.
Ricordiamo ora le ipotesi "di fondo" su cui si basa il corretto utilizzo di uno schema a blocchi funzionali: 1) la trasmissione dei segnali deve avvenire in modo "unidirezionale", cioè dall'ingresso verso l'uscita, e non viceversa; 2) la f.d.t. deve tenere conto dell'interazione col blocco successivo che di solito costituisce un "carico" (che modifica l'uscita), ciò vuol dire che la f.d.t. va studiata a carico e non a vuoto.
Ho voluto puntualizzare le due condizioni di unidirezionalità e di non interagenza per il fatto che sono pochi i blocchi per cui sia possibile affermare con certezza che sono unidirezionali e non interagenti (basta pensare ai filtri passivi). Propongo un esempio di elettronica: consideriamo un amplificatore di tensione (a BJT in configurazione EC) a doppio stadio (i due stadi sono connessi in cascata), generalmente i due stadi interagiscono; in tal caso le possibilità sono due: si cerca la f.d.t. di tutto il sistema, senza spezzarlo in due blocchi, oppure si può modificare il sistema in modo da eliminare l'interazione (ad esempio interponendo uno stadio amplificatore in configurazione CC che funge da adattatore di impedenza oppure sostituendo i BJT con dei FET).
Esaminiamo ora le principali operazioni che si possono compiere sugli schemi a blocchi: 1) nel caso di due blocchi in cascata (cioè in serie), è possibile ridurre il sistema ad un unico blocco equivalente che ha f.d.t. uguale al prodotto delle f.d.t. dei singoli blocchi (G(s)=G1(s)*G2(s)); 2) nel caso di due blocchi in parallelo, si riduce il sistema ad un unico blocco equivalente la cui f.d.t. è pari alla somma algebrica delle f.d.t. dei singoli blocchi (G(s)=G1(s)+/-G2(s)); 3) nel caso di due blocchi connessi in retroazione (in cui il segnale d'uscita di ciascun blocco rappresenta il segnale d'ingresso dell'altro blocco) la f.d.t. totale del sistema è: F(s)=G(s)/(1+/-G(s)*H(s)), in cui G(S) è la f.d.t. del blocco ad anello aperto e H(s) è la f.d.t. del blocco di retroazione.
Ulteriori casi di semplificazione di blocchi funzionali non verranno qui presentati, per cui si rimanda agli approfondimenti.
http://home.deib.polimi.it/rocco/leonardo/lez5.pdf (algebra degli schemi a blocchi)
A presto ;)

P.S. L'algebra degli schemi a blocchi non è l'unico metodo adottato per facilitare lo studio dei sistemi controllo, vi sono altri metodi, tra cui gli schemi di flusso, ma i blocchi funzionali sono di più facile comprensione e di utilizzo più diffuso :sisi:
 
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SISTEMI DI ORDINE ZERO, DEL PRIMO ORDINE E DEL SECONDO ORDINE
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Un sistema si definisce di ordine zero se non possiede variabili di stato, ossia se è senza memoria: l'equazione che esprime un sistema di ordine zero non presenta alcuna variabile in forma derivata, per cui possiamo dire che tale tipo di sistema viene descritto, nel dominio del tempo, mediante un'equazione algebrica.
La sua f.d.t. nel dominio di s è una costante (G(s)=k) e quindi la risposta al gradino unitario è U(s)=k/s, come si nota la variabile d'uscita è ancora un gradino di ampiezza k.
Per fare un esempio, si può considerare un partitore di tensione (nel caso più semplice, formato da due resistori R1 e R2 in serie e alimentato da un generatore di tensione), la cui uscita, prelevata ai capi di uno dei due resistori, è "attenuata" di un certo coefficiente rispetto al segnale a gradino d'ingresso.
In sintesi, viene modificata l'ampiezza del segnale in ingresso ma l'andamento nel tempo del sistema rimane invariato: ciò vuol dire che il sistema di ordine zero non introduce alcun ritardo tra i valori del segnale d'ingresso e i corrispondenti valori del segnale d'uscita.
Pongo l'attenzione sul fatto che un sistema di ordine zero, anche se privo di memoria, non necessariamente deve essere lineare (come nel caso, appena visto, del partitore di tensione): i concetti di linearità e di memoria fanno riferimento ad aspetti diversi della realtà.
Passiamo ora a descrivere i sistemi del 1° ordine: si tratta di quei sistemi descritti da un'equazione differenziale lineare a coefficienti costanti del prim'ordine.
Sono sistemi abbastanza semplici da studiare (benché la loro analisi sia fondamentale, beninteso), è possibile analizzare la loro risposta al gradino senza grandi difficolta di calcolo.
La f.d.t. di un sistema del 1° ordine (si pensi ad un filtro R-C, per esempio) è G(s)=k/(s+a) e quindi la risposta al gradino unitario è U(s)=(k/(s+a))*(1/s)=(A/s)+(B/(s+a)).
Una volta determinati i coefficienti A e B, si avrà la risposta nel tempo: u(t)=(k/a)*(1-e^(-a*t)).
Nella risposta possiamo individuare due diverse fasi di funzionamento: 1) la fase transitoria, in cui l'uscita si avvicina sempre più al valore a regime; 2) la fase a regime, in cui l'uscita, raggiunto il valore massimo, non varia più (il tempo durante il quale l'uscita raggiunge il 98% del valore finale si chiama tempo di "assestamento").
Per quanto riguarda la f.d.t. di un sistema del 2° ordine (pensate ad un filtro R-L-C), essa avrà la seguente forma: G(s)=k/(s^2+a*s+b), con a e b numeri reali positivi.
I due "poli" (ossia le due radici del polinomio quadratico al denominatore) della f.d.t. possono essere reali o complessi e coniugati.
Conviene, ai fini di un'analisi più dettagliata del sistema, porre la f.d.t. in una forma simile allo sviluppo del quadrato di un binomio; in pratica poniamo b=(omega^2) e a=(2*z*omega) (il termine omega=sqrt(b) rapresenta la pulsazione "naturale" non smorzata). Il termine z=a/(2*omega)=a/(2*sqrt(b)) si chiama "smorzamento" e indica la maggiore o minore "somiglianza" del trinomio al quadrato del binomio (s+omega)^2, ottenuto ponendo z=1.
Infatti, andando a riscrivere la f.d.t., avremo: G(s)=k/((s^2)+(2*z*s*omega)+(omega^2)), i cui poli sono p1,p2=-omega*(z+/-sqrt((z^2)-1)).
Tali poli possono essere reali e distinti per z>1, reali e coincidenti per z=1 e complessi e coniugati per z<1.
In definitiva la risposta del sistema è diversa per ciascuno dei tre casi: 1) il caso dello smorzamento z=1 è un caso limite che viene chiamato "smorzamento critico", proprio perché rappresenta lo stato di separazione tra gli altri due tipi di risposta, molto differenti tra loro (si tratta di un tipo di risposta denominato "aperiodico", molto somigliante a quello di un sistema del 1° ordine); 2) nel caso z>1 (due poli reali e distinti) si ottengono risposte aperiodiche; 3) nel caso z<1 (due poli complessi e coniugati) si producono risposte oscillatorie smorzate.
A presto ;)

P.S. http://www.cumacini.altervista.org/Sistemi/Risposta_nel_dominio_del_tempo.pdf :ok:
 
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REGOLATORI PID
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Nell'ambito dei controlli in retroazione, un sistema viene "modellizzato" mediante alcuni tipi di regolatori standard, largamente utilizzati nell'industria: sono i cosiddetti "regolatori PID" (proporzionale, integrale e derivativo).
Nei processi industriali spesso accade che il sistema di controllo non venga "ingegnerizzato" in modo completo, per cui le tecniche, per così dire, "correttive" adottate, basate sui diagrammi di Bode, Nyquist e il luogo delle radici, non sono applicabili (in quanto presuppongono uno studio completo della f.d.t.); per migliorare la stabilità si ricorre ad alcuni dispositivi (faccio riferimento a circuiti elettronici ma gli stessi concetti sono applicabili a controllori di tipo meccanico o elettrico) che sostanzialmente hanno una struttura predeterminata (è possibile, entro certi limiti, "manipolare" la f.d.t. agendo su alcuni parametri del controllore).
Il regolatore è inserito subito dopo il "nodo" di confronto ed esplica la sua azione manipolando il segnale di errore e generando in uscita il segnale di comando del sistema: basicamente i regolatori sono di tipo proporzionale, integrale e derivativo. Darò ora una breve descrizione del comportamento di ciascuno di questi tipi "base" di regolatori e dei loro parametri.
Il controllore più semplice è quello proporzionale, il quale esplica, per l'appunto, un'azione proporzionale sull'errore, fornendo un'uscita c(t)=Kp*e(t), in cui la costante di proporzionalità Kp (adimensionale) rappresenta il "guadagno" proporzionale.
La sua f.d.t. è G(s)=Kp, ciò significa che il regolatore P modifica il guadagno della f.d.t. della linea di andata, adattandolo alle esigenze del controllo.
Nel regolatore I (integrale) il legame tra l'ingresso e l'uscita è più complesso: esso fornisce un'uscita proporzionale all'integrale del segnale di errore (c(t)=Ki*int(e(t)*dt) tra 0 e t, in cui Ki ha le dimensioni dell'inverso di un tempo). In pratica il segnale di comando c(t) cresce linearmente nel tempo, secondo una pendenza tg(alpha)=e/tau1, in cui tau1 (il reciproco di Ki) rappresenta la costante di tempo dell'integratore.
Cosa significa questo ?
Significa che il controllore integrativo "risponde", ad esempio nel caso di un segnale d'ingresso a gradino, con un segnale di controllo che cresce lentamente (e quindi con un certo ritardo) e in modo lineare nel tempo, in base ad un certo tempo di latenza tau1.
Rispetto ad un'azione di tipo proporzionale, che permane invariata nel tempo, l'azione integrativa, pur essendo più lenta, si "rafforza" in modo progressivo (linearmente crescente) nel tempo.
Nel dominio di s la f.d.t. del regolatore integrale è G(s)=Ki/s, per cui esso introduce un polo all'origine, nella linea di andata, rendendo il sistema, se era di tipo 0, di tipo 1, ciò che migliora la precisione del sistema (di fatto rende però la stabilità un fattore più "critico, per cui troveremo sempre un regolatore integrale "accoppiato" ad uno proporzionale).
Nel regolatore D (derivativo) l'uscita è proporzionale alla derivata del segnale di errore: c(t)=Kd*de(t)/dt (in cui il coefficiente Kd ha le dimensioni di un tempo).
Nel dominio di s la sua f.d.t. è G(s)=Kd*s. Come agisce tale controllore (derivativo) ?
Intanto c'è da dire che se il segnale di errore rimane costante nel tempo, tale tipo di controllore non esplica alcuna azione (la derivata di un segnale costante è nulla) e quindi non è possibile utilizzarlo da solo ma va "accoppiato" con un controllore proporzionale.
Tralasciando, per ora, questo particolare, cerchiamo di comprendere il suo funzionamento.
Intanto notiamo che il segnale di controllo c(t) non è legato al segnale d'errore e(t), come avviene nel caso di una regolazione proporzionale, ma è sensibile alla pendenza di e(t), ossia alla velocità di variazione dell'errore e quindi risulta più "pronto" nel rilevare variazioni della grandezza d'uscita e nell'esplicare la relativa correzione.
In termini più semplici, il controllore derivativo è in grado di correggere prontamente, e quindi attenuare, tutte le variazioni del segnale d'uscita, in particolare riducendo le oscillazioni di assestamento, in misura tanto maggiore quanto più rapide sono tali oscillazioni.
Tuttavia, è da tenere presente che esso è sensibile ai rumori che si sovrappongono al segnale d'errore, soprattutto alle alte frequenze il guadagno potrebbe divergere e questo è un altro motivo per usarlo in combinazione con un regolatore proporzionale.
In conclusione, è possibile riunire le tre azioni di controllo in un unico dispositivo, chiamato PID, costituito dai tre blocchi regolatori in parallelo, al fine di sfruttare i vantaggi dei tre tipi di controllo.
L'introduzione del polo all'origine aumenta il tipo di sistema mentre i due zeri contribuiscono a migliorarne la stabilità, inoltre è presente un guadagno variabile (che rappresenta un ulteriore elemento di flessibilità).
Attraverso la modifica dei parametri Kp, Ki e Kd, il controllore PID consente di mettere a punto il sistema laddove la f.d.t. non sia completamente modellizzata o le "prestazioni" del sistema stesso non siano tali da compromettere la sua stabilità.
A presto ;)

P.S. Nel caso in cui la precisione non sia ritenuta un'esigenza "stringente" nell'applicazione della regolazione, si possono adoperare sistemi di tipo ON/OFF ("tutto o niente") con andamento intermittente nel tempo.
Il sistema di controllo della temperatura interna di un frigorifero ne costituisce un esempio: il termostato a lamina bimetallica svolge le funzioni sia di sensore di temperatura che di blocco di confronto.
L'interruttore confronta la temperatura interna con due valori di soglia T1 e T2; se la temperatura è inferiore a T1, esso attiva il compressore mentre non appena la temperatura supera il valore di soglia T2 lo disattiva.
Possiamo dire che la temperatura viene regolata con un grado di precisione misurato in base all'errore assoluto +/- Delta-T: pertanto il sistema è caratterizzato dalla presenza di un'isteresi.
In campo elettronico il blocco di confronto può essere realizzato con un comparatore ad isteresi (il Trigger di Schmitt), il cui funzionamento "a scatto" ("trigger", per l'appunto) è particolarmente interessante in applicazioni quali termostati, rivelatori di livello, comparatori analogici e così via.
Naturalmente, nel caso del termostato elettronico, la temperatura verrà misurata attraverso un apposito trasduttore (ad es. un LM135) e convertita in tensione; la temperatura di riferimento viene impostata direttamente tramite il terminale non invertente dell'operazionale.
http://www.cumacini.altervista.org/Sistemi/Controllori.pdf :asd:
 
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Utente 16812

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I TRASDUTTORI (GENERALITA')
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I trasduttori (o sensori) sono dispositivi che trasformano una grandezza fisica d'ingresso in una grandezza elettrica in uscita, il cui valore dipende dalla grandezza d'ingresso: i fotoresistori e i microfoni sono esempi di trasduttori.
Volendo puntualizzare, un trasduttore (sarebbe meglio chiamarlo trasmettitore) è costituito dall'elemento (il sensore, interfacciato direttamente con l'ambiente esterno) su cui agisce la grandezza da misurare, compiendo l'azione esterna (ad es. un movimento) che viene poi applicata all'ingresso, e l'elemento (il trasduttore vero e proprio) che converte il risultato dell'azione esterna nella grandezza elettrica, che costituisce la grandezza d'uscita.
Gli attuatori ritrasformano la grandezza elettrica in una grandezza fisica: i motori, gli altoparlanti, ecc., sono esempi di attuatori.
Un esempio tipico di trasduttore è il termostato, il quale fornisce una grandezza elettrica che dipende dalla temperatura dell'ambiente esterno; un circuito di comando, presente nella "catena di misura" del sistema di controllo s'incarica di "azionare" l'impianto di riscaldamento, in modo da mantenere la temperatura al valore prefissato.
Il circuito di controllo può essere analogico o digitale: in quest'ultimo caso è necessaria la conversione della grandezza analogica ad una forma digitale, mediante un convertitore A/D (ADC).
Per fare un esempio, nel caso di un amplificatore audio, il segnale proveniente dal microfono (che è il trasduttore) viene preamplificato, equalizzato, ecc., e poi, una volta amplificato di nuovo da un "finale" di potenza, viene inviato all'altoparlante (l'attuatore), il quale emetterà una determinata potenza acustica.
Faccio notare che nel sistema di acquisizione sono presenti altri due componenti fondamentali: il sistema di condizionamento, in grado di "adattare" il segnale "trasdotto" alle caratteristiche dei circuiti che si susseguono nella catena, e il sistema di azionamento, che fornisce il segnale con la potenza richiesta dall'attuatore affinché questo possa compiere l'azione programmata (ad es. l'amplificatore di potenza fornisce all'altoparlante un segnale con valori sufficientemente elevati di corrente e di tensione).
Ci sono molti modi di classificare i trasduttori: 1) secondo la grandezza fisica in ingresso (la velocità, la posizione, ecc.); 2) secondo il tipo di grandezza elettrica in uscita (tensione, resistenza, ecc.); 3) in base al tipo di segnale prodotto, i trasduttori possono essere analogici o digitali.
I trasduttori possono essere primari (se convertono direttamente, come ad es. l'estensimetro, una grandezza fisica in una elettrica), secondari (se la grandezza fisica viene trasformata in un'altra grandezza fisica, come avviene ad es. nei trasduttori di forza), attivi (che generano direttamente il segnale elettrico senza bisogno di alcuna alimentazione, come nel caso delle termocoppie) e passivi (in grado di modificare un parametro elettrico senza generare energia, come ad es. nel caso dei potenziometri).
Per caratterizzare le prestazioni dei diversi trasduttori si fa ricorso ad alcuni parametri caratteristici: se la grandezza in ingresso rimane costante si parla di caratteristiche "statiche" mentre rispetto all'analisi della "risposta" del trasduttore alle variazioni della grandezza d'ingresso si parla di caratteristiche "dinamiche".
Più precisamente i parametri statici riguardano caratteristiche come la linearità, l'accuratezza, la precisione, la stabilità e così via, per quanto riguarda, invece, l'analisi dinamica di un trasduttore, il suo comportamento può essere descritto, come del resto un qualsiasi altro sistema fisico, nel dominio del tempo (applicando una sollecitazione a gradino in ingresso) oppure nel dominio della frequenza (analizzando i diagrammi di ampiezza e di fase della risposta ad un ingresso sinusoidale).
A presto ;)

P.S. Le "famiglie" di sensori che si trovano in commercio sono di due tipi: 1) semplici sensori ON/OFF, caratterizzati da un dispositivo "di soglia" che commuta non appena supera il valore preimpostato della grandezza da misurare; 2) dispositivi in grado di trasformare una grandezza fisica in una elettrica in modo continuo, ovvero caratterizzati da elementi che forniscono un valore continuo in uscita.
http://www.fermilecce.gov.it/area-download/finish/23-prof-neve-angelo/36-trasduttori-v8 :sisi:
 
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I PLC (introduzione)
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I controllori logici programmabili (PLC) sono sistemi elettronici che costituiscono il blocco di elaborazione di un comando automatico e più in generale realizzano, in maniera flessibile, qualsiasi operazione nell'ambito dei controlli industriali; essi sono stati ideati per ovviare agli inconvenienti della logica a relè, sostituendosi a tutti quei componenti elettromeccanici che formavano il quadro di comando a logica cablata e garantendo elevate prestazioni.
Il PLC è composto da una parte hardware, costituita dai circuiti elettronici che forniscono le varie funzionalità, e da una parte software, ovvero il programma compilato in base alle specifiche esigenze dell'utente, ed opera attraverso l'elaborazione di segnali di "consenso" che gli arrivano dai sensori di campo e l'emissione di segnali di comando rivolti agli attuatori, come prestabilito dal programma.
Da notare che le funzioni svolte dal controllore, tramite il software, sono indipendenti dal tipo di sensori ed attuatori utilizzati, poiché si considera soltanto lo stato dei segnali in ingresso, inoltre la composizione del sistema non dipende dalle funzioni da realizzare, in pratica il cablaggio si riduce solo a collegare i sensori e gli attuatori e il programma può essere facilmente modificato secondo le varie esigenze.
Possiamo concludere questa breve introduzione ai PLC affermando che, nonostante la recente introduzione sul mercato da parte della General Motors nel 1969, essi rappresentano uno standard consolidato nel settore dell'automazione a tutti i livelli, garantendo elevata affidabilità, flessibilità, costi ridotti ed eliminando la gran parte dei cablaggi che rendono difficoltose, e costose, eventuali modifiche apportate al quadro di comando.
A presto ;)
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j...iles/PLC.pdf&usg=AOvVaw2Np97fovc--rvP1J5bLgFp :sisi:

P.S. Per quanto riguarda la gestione dei PLC, è da rilevare che qualsiasi operatore, a prescindere dalle proprie competenze, è in grado di utilizzare un PLC: per intenderci, un progettista elettromeccanico, che conosce la realizzazione di schemi elettrici funzionali, opererà attraverso un programma scritto in "ladder diagram", un operatore meccatronico svilupperà il suo programma in linguaggio "grafcet", un informatico programmerà in "linguaggio letterale".
Questa è una delle caratteristiche, oltre a quelle citate, più interessanti, a mio modo di vedere, possedute dal PLC, ossia il fatto di avere le stesse funzioni di un qualsiasi sistema di controllo tradizionale, pur non avendo le medesime limitazioni di quest'ultimo.
https://forum.tomshw.it/threads/programmazione-plc.530390/post-4996406 (linguaggi per PLC) :ok:
 
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Utente 16812

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HARDWARE E CLASSIFICAZIONE DEI PLC
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Dal punto di vista dell'hardware, i PLC sono costituiti da tre componenti: 1) un'unità centrale, con funzioni di organizzazione di tutte le attività del controller; 2) le schede di I/O (Input/Output), che collegano l'unità centrale al sistema da controllare; 3) l'unità di programmazione, che costituisce la vera e propria interfaccia uomo-macchina, consentendo di scrivere il programma nella memoria del PLC.
A questi dispositivi vengono affiancate le periferiche, in grado di incrementare le prestazioni del sistema; esse possono essere, ad esempio, stampanti, memorie di massa (per la conservazione dei programmi), simulatori (per la messa a punto dei programmi), ecc. :sisi:
Non mi soffermerò sui dettagli dell'architettura del PLC, peraltro simile a quella di un personal computer, con qualche piccola differenza.
La classificazione delle tipologie di PLC si basa su diversi criteri: uno di questi si riferisce al numero di ingressi e di uscite che gestisce il controller stesso.
In base al numero di I/O, i PLC possono essere: 1) di gamma bassa (fino a 64 punti di I/O); 2) di gamma media (da 64 fino a 512 punti di I/O); 3) di gamma alta (oltre 512 punti di I/O).
In base alla soluzione costruttiva, avremo PLC monoblocco (compatti) e PLC modulari; nel caso dei PLC monoblocco la configurazione generalmente è rigida e non si può modificare (in alcuni casi le schede di I/O possono essere espanse), mentre quelli modulari sono espandibili dall'utente secondo le proprie esigenze, di solito assemblando in un "rack" le varie schede.
In base al tipo di impiego, i PLC possono essere sequenziali (in grado, cioè, di realizzare sistemi di automazione funzionanti secondo la logica sequenziale) o multifunzione (che consentono, cioè, di realizzare, oltre a funzioni sequenziali, anche altre funzioni quali la regolazione PID, il posizionamento, il controllo degli assi, ecc.
Queste particolari funzioni, tecnologicamente sempre più complesse (sia da un punto vista elettronico che informatico), assegnate ai vari moduli del PLC, hanno consentito la cosiddetta "integrazione" tra i livelli "gerarchici" della "fabbrica automatica".
Tale integrazione richiede un continuo scambio di informazioni tra sistemi di comando a PLC e sistemi di gestione dei dati tramite personal computer: attualmente si fa ricorso al collegamento in rete in cui i diversi sistemi forniscono al calcolatore centralizzato tutti i dati necessari in relazione alle informazioni sulla produzione.
Sull'automazione nell'industria tornerò a parlare molto presto.
Buona lettura ;)

P.S. Parlando dell'architettura di un PLC, ho trascurato la sezione di alimentazione (di solito a commutazione, detta "switching") e le unità di memoria (distinta in memoria dati e memoria di programma), dandone per scontata la presenza sulla scheda di sistema :asd:
 
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Utente 16812

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I PLC (note sulla programmazione)
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Come sappiamo i PLC sostituiscono l'utilizzo di relé, temporizzatori e altri dispositivi elettromeccanici sia combinatori che sequenziali, simulando il loro funzionamento; in pratica alla logica "cablata" dei sistemi elettromeccanici si sostituisce una logica "programmabile" da "approntare" caso per caso in base alle esigenze specifiche del comando.
Per il motivo detto sopra, è importante conoscere la simbologia e in particolare gli schemi elettrici funzionali di tali sistemi poiché essi costituiscono la base della programmazione dei PLC attraverso il metodo del "linguaggio a contatti".
Tornando alla progettazione di un sistema automatico, occorre ricordare che dovranno essere soddisfatti alcuni "step" che, organizzati gerarchicamente, compongono una specie di "algoritmo della programmazione": 1) definire le specifiche del sistema, procedendo alla sua rappresentazione "funzionale", da effettuarsi secondo uno dei vari metodi possibili (il metodo algebrico e/o booleano, il diagramma a relé, il diagramma di flusso, il diagramma "grafcet"); 2) configurare gli ingressi e le uscite, in base al tipo e al numero di sensori e attuatori collegati al PLC, ed effettuare il loro indirizzamento I/O; 3) codificare i simboli utilizzati negli schemi funzionali, cioè "tradurli" nel linguaggio conosciuto dal PLC e dagli operatori; 4) trasferire il programma nella memoria di programma (di solito su RAM o EPROM) del PLC; 5) verificare e mettere a punto il programma; 6) mettere in servizio il sistema, una volta prestabiliti i "set point" del processo e salvato il programma finale su dispositivi EEPROM.
A conclusione di queste note sulla programmazione del PLC, vorrei far presente che il metodo per la "rappresentante" funzionale dello studio del sistema va scelto in base al linguaggio di programmazione preferito; se si prevede di scrivere il programma nel linguaggio "a contatti" o in linguaggio booleano può essere conveniente utilizzare il metodo algebrico, ad esempio.
Lo schema a relé si "presta" particolarmente bene ad essere tradotto nel linguaggio a contatti.
Il diagramma di flusso (Flow-Chart) è quello più adatto ad essere convertito in un linguaggio ad alto livello.
Infine il diagramma grafcet non ha bisogno della fase di traduzione e si può inserire direttamente nella memoria del PLC, a patto che la "console" di programmazione sia in grado di lavorare in linguaggio grafcet.
Il metodo booleano è quello più generale ma quello più consigliato dai costruttori è il metodo dei diagrammi a relé (d'altronde la maggior parte degli operatori possiede una cultura elettromeccanica e dunque è "avvezza" alla logica automatica in termini di blocchi a relé, per cui in definitiva si tratta di una scelta quasi obbligata).
Dal mio punto di vista occorre "formare" dei tecnici che siano in grado di analizzare i sistemi, soprattutto dal punto di vista della logica sequenziale, dopo un attento studio teorico, basato sulla conoscenza di varie discipline tecnico/scientifiche (in primo luogo la cibernetica), piuttosto che avere degli operatori in grado di stendere un diagramma a relé solo in base alla loro esperienza pratica.
La formazione deve essere quanto più generale possibile.
A presto ;)

P.S. Sui linguaggi di programmazione dei PLC ho discusso qui:
https://forum.tomshw.it/threads/cosa-serve-per-programmare-un-plc.683980/post-6612620 :sisi:
 
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LA FABBRICA AUTOMATICA (struttura CIM)
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Della struttura di un sistema automatizzato e dei dispositivi per gestire un sistema automatico programmabile ho già discusso; è rimarchevole il fatto che sempre più spesso si fa ricorso al PLC che offre, rispetto ad altre soluzioni
impiantistiche, una notevole versatilità di configurazione, una semplice programmabilità, grazie al supporto software "spinto" verso librerie grafiche di semplice utilizzazione, e un elevato grado di affidabilità.
Ora, la fabbrica automatizzata ("factory automation" in inglese) è un sistema organizzativo integrato che impiega una struttura gerarchica, denominata CIM (Computer Integrated Manufacturing), la quale sovrintende a tutte le operazioni relative alla produzione, al management, alla manifattura e alla "qualità totale" dei prodotti finali.
La struttura aziendale viene suddivisa in vari livelli, si tratta di una specie di "piramide" provvista di una serie di interconnessioni sia in linea orizzontale, tra i dispositivi di pari livello, sia in linea verticale, tra i vari livelli.
Il fine di una tale struttura organizzativa è quello di ottenere volumi produttivi più elevati abbinati ad una migliore qualità dei prodotti, ottimizzando la flessibilità e i tempi.
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In presenza di sistemi industriali complessi la questione del controllo e della supervisione dei processi assume un'importanza rilevante, per il fatto che le tecnologie adottate devono essere più "smart" possibili.
Si prospetta una soluzione basata su un sistema integrato dei controlli di processo, denominato TIA (Totally Integrated Automation), in grado di "unificare" tutti i settori produttivi aziendali (ad es. i vari livelli della piramide possono essere collegati attraverso reti Profibus).

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Vengono in tal modo a cadere i "confini" tecnologici tra le varie applicazioni di un processo produttivo, a favore di una base comune; ciò contribuisce ad un notevole risparmio economico, ad una maggiore compatibilità in caso di futuri "upgrades" del sistema (essendo tale sistema "aperto") e in definitiva a costi d'esercizio più bassi.
In sintesi si è passati da un'automazione "rigida", in fabbriche in cui vi è un solo tipo di lavorazione, ad un'automazione "programmabile", per prodotti con caratteristiche diverse, fino ad arrivare all'automazione "flessibile", nei casi in cui la produzione dei lotti è diversificata per quantità, qualità e tipologia.

P.S. Faccio presente che la scelta di automatizzare o meno un certo processo produttivo è una questione puramente economica: l'uomo è stato sostituito in talune operazioni che si ripetono un certo numero di volte tale da giustificare l'utilizzo della macchina dal punto di vista economico. I parametri coinvolti vengono analizzati dal controllo di qualità al fine di certificare la bontà delle lavorazioni (e dei prodotti finali).
 
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MACCHINE A CN/CNC
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Il termine "controllo numerico" (sarebbe meglio chiamarlo "comando numerico") fa riferimento ad una macchina utensile a cui vengono impartiti ordini per mezzo di numeri, in base ad un linguaggio convenzionale. Preciso che le macchine utensili a CN sono di tipo "universale", dotate di grande flessibilità, a differenza delle macchine denominate "speciali" (dedicate ad una specifica lavorazione), non flessibili. Analizzando l'andamento dei costi di lavorazione di un certo lotto di pezzi, al variare del numero di pezzi del lotto, si nota che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, le macchine a CN sono economicamente più convenienti per la produzione di pezzi in piccola e media serie e non in grande serie. Questo è il motivo per cui l'impiego di macchine a CN si è imposto soprattutto nell'industria aeronautica, più delle macchine automatiche. In questo contesto i comandi numerici consentono di risolvere egregiamente i problemi produttivi. Per quanto riguarda la classificazione dei controlli numerici, esiste una nomenclatura standard sul sistema di riferimento da adottare e sul controllo dei movimenti della macchina. Dal punto di vista operativo, nella memoria elettronica dell'unità di controllo della macchina a CN viene introdotto un programma in grado di far eseguire alla macchina stessa le manovre richieste (le informazioni vengono codificate in forma binaria e trasmesse tramite impulsi, ossia sono digitali). Le macchine a CN che utilizzano un elaboratore elettronico vero e proprio sono denominate con la sigla CNC (Computer Numerical Control). La progettazione grafica assistita si avvale dell'ausilio di sistemi interattivi CAD (Computer Aided Design) e CAM (Computer Aided Manufacturing), i quali ricavano il programma direttamente dal disegno del pezzo ed eseguono la simulazione del movimento dell'utensile su un display. La programmazione può essere: 1) manuale (l'introduzione del programma in memoria avviene manualmente); 2) manuale con introduzione tramite supporto magnetico; 3) automatica (realizzata mediante un computer dotato di lettore di supporto magnetico, stampante, plotter, ecc.). Esistono software "processor", in grado di definire, in base al "part-program" (la descrizione della forma del pezzo), la traiettoria dell'utensile, e software "post-processor", capaci di adattare i dati a seconda delle specifiche caratteristiche della macchina impiegata. Vediamo brevemente come è strutturato un CN di una macchina utensile: si tratta sostanzialmente di un controllo dello spostamento dell'utensile effettuato ad anello chiuso (vale a dire in retroazione negativa), in cui l'uscita viene rilevata e trasmessa ad un comparatore (che controlla la velocità di spostamento, tra l'altro), il quale la confronta col valore in ingresso e valuta il valore e il segno della differenza. La differenza tra i due segnali, opportunamente amplificata, pilota i motori di azionamento che governano gli organi mobili della macchina utensile. I programmi introdotti nell'unità CN sono di due tipi: 1) programmi macchina (machine-program), contenuti permanentemente in memoria (quindi non accessibili e non modificabili); 2) programmi pezzo (part-program), contenuti in una memoria cancellabile e riprogrammabile. Infine i trasduttori sono dispositivi di misura che inviano continuamente il valore della posizione dell'organo mobile controllato al comparatore. Di solito si classificano in base al loro inserimento nella catena cinematica e al tipo di misura effettuata. I misuratori devono garantire elevate precisioni, ottima definizione, bassi attriti meccanici e alta insensibilità ai giochi meccanici. Queste caratteristiche possono essere ottenute mediante apposite "righe elettriche", fissate alla macchina, su cui un cursore fissato alla slitta può scorrere.

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