GUIDA Appunti di elettronica (facile)

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Utente 16812

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I DIODI LED
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Il nome LED è un acronimo che significa "diodo emettitore di luce".
Sono componenti che hanno due terminali, chiamati anodo (il terminale positivo) e catodo (il terminale negativo), i quali devono essere collegati correttamente, in quanto la corrente può attraversarli solo in un verso.
Vediamo di capire meglio il loro funzionamento: per poter emettere luce un LED deve essere percorso da una corrente elettrica, di norma compresa tra 10mA e 20mA, nel verso che va dall'anodo al catodo.
Questo vuol dire che, per poter condurre, l'anodo deve essere a potenziale maggiore rispetto a quello del catodo, cioè in polarizzazione "diretta"; in caso contrario, cioè in polarizzazione "inversa", non si ha alcun passaggio di corrente.
Quando il LED è in ON (acceso), la tensione ai suoi terminali varia a seconda del colore del LED stesso (ad es. giallo a 1.9V, verde a 2.0V, blu a 3.5V e così via). I vari colori emessi dipendono dal tipo di semiconduttore utilizzato per la costruzione del diodo.
Esistono anche LED bicolori (di solito rosso e verde nella stessa calotta), che hanno 3 terminali, di cui quello centrale è il catodo comune.
https://www.google.it/search?q=led+...jAhVFzaQKHX0_CEcQsAR6BAgHEAE&biw=1920&bih=967 :sisi:
I LED RGB sono LED tricolori (rosso, verde e blu) con 4 terminali: si può modificare l'intensità luminosa dei 3 LED al fine di creare tutta l'infinita gamma di colori possibili.
https://www.google.it/search?q=led+...jAhWnURUIHQ81CkAQsAR6BAgIEAE&biw=1920&bih=967 :sisi:
Più LED collegati a griglia formano la cosiddetta "matrice di LED", usata ad esempio nei fari delle automobili e nei monitor.
Per poter rappresentare le dieci cifre decimali è possibile utilizzare un display a 7 segmenti, costituito da 7 LED disposti in modo da illuminare le 7 "zone" di cui è composta una cifra più un ottavo LED per il punto decimale.
Questi tipi di display hanno un piedino in comune (l'anodo o il catodo), ossia possono essere collegati ad anodo comune o a catodo comune.
I LED sono pilotati da uno speciale chip di controllo, chiamato decoder-driver, che in ingresso riceve la cifra da rappresentare.
Infine per poter visualizzare informazioni più complesse, vengono utilizzati i display a cristalli liquidi (LCD):
https://forum.tomshw.it/threads/lenovo-y50-70.446710/post-4609533 (cosa sono i display LCD) :asd:
Non essendo possibile regolare la luminosità, ai LED viene applicato un segnale PWM (modulazione di larghezza degli impulsi), che in pratica consiste nello spegnere e accendere i LED molte volte in un secondo :asd:
Per fare ciò, però, c'è bisogno di un micro-controller integrato (ad esempio Arduino):
A presto ;)
 
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I TUBI A VUOTO (IL DIODO A VUOTO)
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I primi componenti elettronici ad essere utilizzati sono stati i tubi a vuoto (diodi, triodi, ecc.); nonostante oggi non siano più usati, poiché sostituiti da elementi a semiconduttore, ritengo interessante, da un punto di vista didattico, fornire un accenno al loro funzionamento.
Come si sa, nei materiali solidi gli atomi e le molecole oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio, in dipendenza della loro temperatura (solo allo zero assoluto tali oscillazioni cesserebbero): maggiore è la temperatura, tanto più frequenti sono le oscillazioni termiche.
In certi materiali, per effetto della maggiore energia termicamente acquisita, vengono liberati elettroni.
Questo fenomeno viene chiamato "effetto termoionico".
Riscaldando un pezzo di metallo, detto "catodo", posto all'interno di un'ampolla di vetro in cui è stato fatto il vuoto, verranno espulsi elettroni dal metallo. Di conseguenza il pezzo di metallo si carica positivamente, per cui attira gli elettroni e li riprende a sé.
Essendo emessi di continuo nuovi elettroni, al di fuori del metallo esiste sempre un gran numero di elettroni, che formano una "nube" di carica spaziale intorno al metallo.
Gli elettroni della nuvola di carica spaziale possono essere utilizzati per vari scopi.
L'involucro di vetro che contiene il catodo viene provvisto di un secondo elettrodo metallico, detto "anodo".
Quindi un diodo a vuoto è formato da un cilindro di vetro con i due elettrodi.
Dando all'anodo una tensione positiva rispetto al catodo, l'anodo richiama gli elettroni carichi negativamente: attraverso il diodo scorre una certa corrente. Invertendo la polarizzazione della tensione, dando cioè all'anodo una tensione negativa rispetto al catodo, nel diodo non scorre alcuna corrente perché l'anodo negativo respinge gli elettroni: il diodo è "interdetto".
Il fatto che il diodo a vuoto consenta il passaggio della corrente nel circuito anodico in un solo verso giustifica il nome di "valvole a vuoto", dato a questi componenti, per analogia con le valvole idrauliche, che fanno passare l'acqua in un solo verso.
Il diodo a vuoto a due elettrodi, oggi sostituito dal diodo a semiconduttore, viene impiegato nella "rettificazione" della corrente elettrica (che vedremo in seguito).
A presto ;)

P.S. https://www.lucianomarroccu.com/un-pò-di-teoria/diodo-a-vuoto/ :sisi:
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IL TRIODO
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Oggi illustrerò la costituzione e il funzionamento del triodo a vuoto, il precursore del transistor a semiconduttore.
Interponendo un terzo elettrodo tra l'anodo e il catodo di un diodo a vuoto si va a "modulare" l'emissione di elettroni dal catodo; non dovendo ostacolare il passaggio di elettroni tra il catodo e l'anodo, il nuovo elettrodo avrà una struttura "a maglie", per questo motivo viene chiamato "griglia". Polarizzando positivamente la griglia, questa attrae un maggior numero di elettroni che andranno così ad aumentare la corrente anodica. Viceversa, polarizzando negativamente la griglia, si avrà un effetto repulsivo sugli elettroni con la conseguenza che la corrente anodica diminuirà.
Si tratta di un fenomeno alquanto interessante: agendo sul potenziale di griglia, che assume quindi la funzione di potenziale di "controllo", e mantenendo costante il potenziale anodico, è possibile "modulare" la corrente anodica.
C'è però un punto da precisare: la corrente anodica non può crescere all'infinito, all'aumentare del potenziale di griglia, da un certo punto in poi tale corrente non aumenterà più, anche aumentando la tensione sulla griglia.
In questo caso si dice che il triodo ha raggiunto il suo "stato di saturazione".
Viceversa, all'aumentare del potenziale negativo della griglia si otterrà l'effetto di respingere gli elettroni che tentano di passare sulla placca e di conseguenza cesserà la corrente anodica: il triodo è in "interdizione".
Per quanto riguarda la curva caratteristica, c'è da osservare che la regolazione viene effettuata non più sulla tensione anodica, tenuta costante, ma sul potenziale di griglia, per cui, volendo tenere conto dei vari valori di tale tensione all'anodo, dovremo costruire più curve caratteristiche, una per ciascun valore considerato.
Si ha, quindi, non una sola curva, come accade nel caso del diodo a vuoto, ma una "famiglia di curve" su un grafico che prende il nome di "mutua caratteristica" del triodo.
In conclusione mi preme evidenziare un'importante caratteristica del triodo per fini applicativi: per piccole variazioni del potenziale di griglia si ottengono grandi variazioni della corrente all'anodo; questa caratteristica viene denominata "effetto amplificatore" della valvola con tre elettrodi.
A presto ;)

P.S. https://www.lucianomarroccu.com/un-pò-di-teoria/tubi-con-più-di-due-elettrodi/ :sisi:
 
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IL DIODO A GIUNZIONE
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Nei miei articoli dedicati alle "nanotecnologie", a cui rimando per ulteriori delucidazioni, ho svolto alcune considerazioni sul drogaggio dei semiconduttori e sulla giunzione P-N: sono proprio le caratteristiche di tale giunzione P-N ad essere sfruttate nei diodi a semiconduttore (composti, per l'appunto, da una zona di tipo P e da una zona di tipo N poste all'interno di un "package").
Quando la giunzione P-N è polarizzata direttamente, cioè quando la tensione esterna ha il morsetto positivo collegato alla zona P (anodo), il diodo possiede una resistenza molto bassa e quindi consente il passaggio di corrente; quando, viceversa, la giunzione P-N è polarizzata inversamente, cioè quando la zona P è collegata al polo negativo della batteria, il diodo presenta una resistenza molto alta e quindi impedisce il passaggio di corrente (si dice che il diodo è "interdetto").
Questo comportamento ha implicazioni di notevole importanza, si tratta del comportamento tipico di un raddrizzatore a cristallo: il diodo a giunzione è paragonabile ad una valvola di non ritorno, in cui la corrente (fluida, nel caso di una valvola idraulica) scorre in una sola direzione e viene bloccata nell'altra.
La precisa dipendenza tra la corrente e la tensione in un diodo a semiconduttore viene descritta dalla caratteristica volt-amperometrica, in cui in ascisse viene riportata la tensione V e in ordinate la corrente I.
In polarizzazione diretta, la corrente inizia a circolare quando la tensione applicata al diodo supera un certo valore, detto "di soglia", che nel caso dei diodi al Silicio è di circa 0.6V.
In polarizzazione inversa circola una corrente molto piccola, che non dipende da V ma soltando dalla temperatura.
Voglio precisare che il diodo non deve essere sovraccaricato: i valori di massima corrente diretta e di massima tensione inversa vengono forniti dal produttore e non possono essere oltrepassati.
Se si supera la massima tensione inversa (tensione di "breakdown", ossia di rottura), stabilita dal costruttore, è possibile che si verifichino rotture impreviste dei legami covalenti che possono portare al danneggiamento irreversibile del diodo.
La rottura dei legami covalenti può avvenire sia per effetto del calore che per effetto "Zener" (sull'effetto Zener non mi soffermerò, al momento).
La curva caratteristica V-I di un diodo, contrariamente a quella di un resistore, non è lineare, cioè il legame tra la tensione e la corrente è un legame di tipo non lineare (il diodo non segue la legge di Ohm).
All'atto pratico viene utilizzato un procedimento di "linearizzazione" delle caratteristiche del diodo, che si sviluppa attraverso alcuni modelli circuitali "equivalenti" il cui impiego varia a seconda del grado di approssimazione richiesto.
A presto
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P.S. Non l'ho specificato ma il diodo è il componente strutturale più adatto al raddrizzamento di correnti alternate.
http://www.edutecnica.it/elettronica/diodo/diodo.htm ;)
 
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Utente 16812

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IL TRANSISTOR BIPOLARE A GIUNZIONE (BJT)
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Il transistor è un componente elettronico che ha tre terminali, in grado di amplificare la potenza elettrica.
I transistor possono essere bipolari e unipolari: nei transistor bipolari la conduzione è dovuta sia ai portatori maggioritari che ai portatori minoritari, in quelli unipolari la conduzione è dovuta solo alle cariche maggioritarie.
In linea di massima un transistor BJT viene ottenuto drogando le due estremità di una barretta di Silicio (intrinseco) con impurità dello stesso tipo (tipo N o tipo P) e la zona centrale con impurità di tipo opposto.
In questo modo si ottengono due giunzioni: la zona centrale è la "base", una delle estremità viene chiamata "emettitore" e l'altra costituisce il "collettore" (è da notare la perfetta analogia tra il BJT e il triodo: la base corrisponde alla griglia, il collettore corrisponde all'anodo del triodo e l'emettitore al catodo) .
Di solito la giunzione B-E è detta "giunzione di emettitore", quella B-C è chiamata "giunzione di collettore".
Esistono due tipi di transistor BJT: quello N-P-N e quello P-N-P.
Generalmente i circuiti con BJT hanno l'emettitore come terminale comune (sia al circuito in ingresso che al circuito in uscita), per cui tale tipo di configurazione è detta "ad emettitore comune" (EC o CE).
In tal caso si possono scegliere la corrente in ingresso Ib sulla base e la tensione in uscita Vce sul collettore come variabili indipendenti e quindi la corrente Ic in uscita sul collettore e la tensione Vbe in ingresso sulla base sono le variabili dipendenti.
Avremo dunque due funzioni: Vbe=f1(Vce,Ib) e Ic=f2(Vce,Ib).
A queste due funzioni corrispondono rispettivamente le curve caratteristiche d'ingresso e d'uscita di un BJT.
Dando uno sguardo alle caratteristiche d'uscita Vce-Ic si nota che per ogni valore di Ib (a ciascuna curva corrisponde un diverso valore di Ib), la corrente Ic non varia in modo apprezzabile al variare della tensione Vce.
Le caratteristiche di ingresso non hanno molta importanza in quanto dipendono poco dalla tensione Vce: il costruttore fornisce, di solito, una soltanto di queste curve d'ingresso.
Per concludere queste brevi nozioni sui BJT, possiamo dire che essi si comportano in modo differente a seconda della posizione del "punto di lavoro" sul grafico Vce-Ic, a sua volta determinata dal circuito di polarizzazione.
Si possono evidenziare tre zone: 1) la zona di interdizione, in cui il BJT si comporta come un interruttore aperto; 2) la zona "attiva", in cui il BJT si comporta da amplificatore; 3) la zona di saturazione, in cui il BJT si comporta come un interruttore chiuso.
La zona che interessa maggiormente per il funzionamento da amplificatore per piccoli segnali è quella "attiva", mentre il comportamento ON-OFF (cioè in saturazione e in interdizione) è tipico dei dispositivi di potenza in cui il BJT viene utilizzato come interruttore "statico", ossia senza contatti in movimento e con tempi di commutazione ridottissimi.
A presto
occhietto.gif


P.S. http://www.edutecnica.it/elettronica/transistor/transistor.htm
 
U

Utente 16812

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I CIRCUITI INTEGRATI
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Intorno agli anni '60 del secolo scorso si capì che era possibile "integrare" su un unico substrato di Silicio tutti i componenti circuitali, attivi e passivi, atti a realizzare un amplificatore. Sorse così un grande interesse nella progettazione di nuovi dispositivi, detti "amplificatori operazionali" (AMP-OP o OP-AMP), in grado di fornire nuovi impulsi all'elettronica analogica, allo stesso modo in cui i sistemi logici stavano rivoluzionando le applicazioni digitali.
Il termine "operazionale" venne dato in origine a questa categoria di amplificatori poiché inizialmente questi circuiti venivano progettati per eseguire calcoli aritmetici e algebrici, quali somme, differenze, logaritmi, ecc., poi sfruttati nei calcolatori analogici, prima dell'avvento dei microprocessori.
Gli A.O. sono circuiti integrati lineari che comprendono anche i regolatori di tensione, i dispositivi di potenza e tutti i circuti "custom" come i modulatori e i mixer, inclusi quelli progettati su specifiche richieste del committente.
Opportunamente retroazionati, gli operazionali possono implementare tutti i circuiti a componenti discreti e presentano molti vantaggi, tra cui la riduzione d'ingombro, la minore dissipazione di potenza, l'alta densità di integrazione e, non ultimo, il costo minore. Possiamo dire che, a oltre 50 anni dall'introduzione, gli A.O. sono ormai considerati componenti di base, allo stesso modo di come precedentemente era accaduto nel caso dei transistor bipolari e unipolari (che hanno sostituito i tubi a vuoto).
Veniamo ora alla parte tecnica: come viene realizzato un transistor ?
Su uno stesso "wafer" di Silicio, di una certa grandezza, possono essere prodotti migliaia di componenti elementari; in seguito la fetta di Silicio viene tagliata in modo da isolare i chip, ciascuno contenente un transistor.
Dopo il taglio dei transistor dal "wafer" e il successivo montaggio nei contenitori, essi vengono di nuovo saldati per realizzare circuiti più complessi (ad es. amplificatori per frequenze audio).
E' chiaro che tale procedura, per produzioni di grandi lotti, non è economicamente conveniente. E' invece più conveniente, anche sotto il profilo tecnologico, integrare, sulla stessa "tessera" di Silicio, tutti i componenti (diodi, transistor, resistori, ecc.) atti a realizzare una determinata funzione e porre successivamente l'intero circuito in un unico contenitore.
Abbiamo ottenuto un "circuito integrato" (IC in inglese).
Su un circuito integrato possono essere raggruppati tantissimi componenti.
Concludo dicendo che il simbolo che viene utilizzato per rappresentare un circuito integrato è un rettangolo sul cui perimetro sono indicati i pin, contrassegnati da una sigla numerata che descrive la loro funzione.
A presto
occhietto.gif



P.S. Sulle tecnologie di integrazione (ibrida e monolitica) ho già discusso nei miei articoli dedicati all'elettronica digitale, a cui rimando per ulteriori approfondimenti.
Avrò modo di riparlarne man mano che introdurrò nuove nozioni di Elettronica ;)
 
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Utente 16812

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RETI IN REGIME STAZIONARIO E IN REGIME VARIABILE
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Per risolvere una rete elettrica lineare occorre determinare le correnti circolanti nei vari rami della rete e le tensioni ai capi di ciascun bipolo.
Da un punto di vista concettuale il problema risulta di facile soluzione se si utilizzano le leggi di Kirchhoff e la legge di Ohm ma nella pratica si riscontrano delle difficoltà dovute essenzialmente al fatto che si tratta di risolvere sistemi con parecchie equazioni in altrettante incognite.
Esistono alcuni metodi semplificati, adatti a vari tipi di circuito, ma non sempre sono di semplice applicabilità (in questi casi, peraltro, la pratica è molto importante).
Spesso viene richiesta una risoluzione "parziale" della rete (ad es. il calcolo della tensione e/o della corrente in un ramo), che consiste sostanzialmente nella "trasformazione" del circuito originario in una rete "equivalente" (in tal modo si semplificano i calcoli).
Preciso che i metodi di risoluzione di una rete lineare sono validi sia nello studio delle reti in regime permanente (o "stazionario", cioè a transitorio esaurito, a corrente e tensione costanti) sia in quello di reti in regime variabile (in corrente alternata sinusoidale) perché, nonostante tali metodi siano differenti, i principi fisici alla loro base sono gli stessi.
Inoltre faccio notare che, nel caso di risoluzione "completa" (in caso di risoluzione "parziale" ovviamente il procedimento si ferma ad un certo punto) della rete, la semplificazione non consiste nella riduzione della quantità di calcoli ma riguarda il fatto di affrontare il problema "per passi", ciò che implica una minore possibilità di commettere errori.
Se la rete è formata da un solo generatore di tensione e da vari resistori, la procedura di risoluzione è piuttosto semplice: si determina la resistenza equivalente e poi con la legge di Ohm si calcola la corrente fornita dal generatore (ed eventualmente si calcolano le altre correnti e tensioni).
Un'altra tecnica (nel caso di presenza di più generatori) consiste nel risolvere il sistema di equazioni che si ottiene considerando le correnti nei vari rami come incognite (in questo caso è necessario individuare un sistema di equazioni indipendenti).
Sempre nel caso di presenza di più generatori, è possibile "scomporre" il circuito in tante "sotto-reti" quanti sono i generatori, ciascuna delle quali contiene un solo generatore operante (e quindi i calcoli risultano semplificati).
Questa procedura viene chiamata "principio di sovrapposizione degli effetti": in un circuito lineare la tensione esistente tra due punti (o la corrente in un ramo) può essere calcolata sommando le tensioni (o le correnti) che si otterrebbero se si lasciasse agire un solo generatore per volta.
Esistono altri teoremi per l'analisi di reti lineari (il teorema di Thevenin, Norton, Millman, Miller, ecc.) che, se non richiesto, non verranno illustrati.
A presto ;)

P.S. In caso di presenza di condensatori ed induttori, componenti in grado di immagazzinare energia, l'andamento delle tensioni e delle correnti nel tempo in reti a regime stazionario si scompone nella fase "transitoria" e nella fase a regime permanente (continuo).
Lo studio del transitorio è abbastanza complesso, viene utilizzata la trasformata di Laplace (ne parlerò nel mio thread dedicato alla "Cibernetica"), in regime permanente (a transitorio esaurito) le correnti e le tensioni sono costanti e in queste condizioni la corrente nei condensatori e la tensione ai capi degli induttori sono nulle :asd:
 
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Utente 16812

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FENOMENI TRANSITORI
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Come abbiamo già detto, un transitorio rappresenta l'intervallo di tempo necessario affinché un circuito comprendente componenti conservativi (condensatori e induttori) si adegui ad una variazione del segnale d'ingresso.
Particolarmente significativo è il caso in cui venga applicato un impulso a gradino (ossia una rapida variazione tra 0V ed E o viceversa, quindi con un fronte in salita e un fronte in discesa) all'ingresso di una rete R-C serie (un condensatore in serie ad un resistore); dato che la situazione di regime permanente viene raggiunta in un intervallo di tempo che dipende dai valori di C e R (ricordo che tau=R*C è la costante di tempo del sistema), i transienti che si "instaurano" in questi circuiti sono alla base di progettazione di reti di temporizzazione e di generatori di forme d'onda rettangolari :sisi:
Faccio presente che le formule non verranno dimostrate in quanto è richiesta la conoscenza della trasformata di Laplace, che non verrà qui illustrata (ne discuterò sul thread dedicato alla cibernetica e ai sistemi di automazione).
Supponiamo di avere un circuito R-C serie e un interruttore in grado di commutare la tensione d'ingresso tra 0V ed E (la fem del generatore di tensione); la tensione ai capi del condensatore Vc avrà, dopo la commutazione (da 0V ad E, chiudendo l'interruttore), un andamento esponenziale nel tempo.
L'espressione analitica di Vc, nell'ipotesi di C inizialmente scarico, nel tempo è: Vc(t)=E*(1-e^(-t/R*C)), in cui R*C è la costante di tempo del sistema (si misura in secondi, avendo le dimensioni di un tempo).
Come si nota dall'espressione, nell'istante iniziale t=0 la tensione Vc è nulla (il condensatore è scarico inizialmente) e poi tende asintoticamente ad E (in modo esponenzialmente crescente), raggiungendo circa il 99% di E dopo un intervallo di tempo pari a 5*R*C (cioè 5 volte la costante di tempo). Nel caso di C inizialmente carico ad una tensione Vin, l'espressione è un po' più complessa.
Per quanto riguarda la corrente, essa, dopo un picco E/R (in dipendenza della resistenza del circuito) iniziale, man mano che la tensione ai capi del condensatore tende ad E, tenderà a 0 esponenzialmente (con un esponenziale decrescente nel tempo), confermando il fatto che il condensatore si comporta, a regime permanente, come un circuito aperto.
Nel passaggio inverso (ottenuto aprendo l'interruttore), quando la tensione d'ingresso passa da E a 0, la tensione Vc scenderà a 0, sempre con andamento esponenziale nel tempo, mentre la corrente avrà verso negativo, dato che il condensatore si sta scaricando attraverso la resistenza.
Anche nella fase di scarica, il transitorio si esaurirà al 99% in un tempo pari a 5*R*C, ossia 5 volte la costante di tempo.
A presto ;)

P.S. https://digilander.libero.it/nando.marturano/Elettrotecnica/Transitori/RC_carica.pdf (carica)
https://digilander.libero.it/nando.marturano/Elettrotecnica/Transitori/RC_scarica.pdf (scarica)

P.P.S. Ricordo che, per la risoluzione di un circuito, mentre in regime permanente si perviene ad un sistema lineare, in fase transitoria si giunge ad un sistema di equazioni differenziali, per cui le complicazioni sono soltanto a livello analitico e non concettuale :sisi:
 
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SEGNALI ELETTRICI E LORO PARAMETRI
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Oggi vorrei svolgere alcune importanti considerazioni sui segnali elettrici; in genere tali segnali vengono classificati in base alla loro forma d'onda e ad alcuni parametri fondamentali.
Proprio la forma d'onda di un segnale assume una rilevante importanza dal momento che a ciascun suo punto è associato un contenuto informativo.
A seconda del tipo di andamento della funzione rappresentativa del segnale, avremo: 1) segnali continui (costanti nel tempo); 2) segnali periodici (variabili nel tempo con legge periodica: y(t)=y(t+n*T), in cui T è il periodo e il suo reciproco è la frequenza f=1/T); 3) segnali aperiodici (con valori variabili nel tempo ma che non si ripetono allo stesso modo).
A loro volta i segnali periodici e aperiodici possono essere unidirezionali (se nel tempo assumono solo valori positivi o solo negativi) o bidirezionali (se nel tempo assumono sia valori positivi che negativi).
Tra le grandezze periodiche bidirezionali particolare importanza, soprattutto in campo elettrotecnico, assumono quelle alternate, che hanno la caratteristica di avere, nei due semiperiodi, gli stessi valori in modulo ma di segno opposto, per cui il loro valore medio, nel periodo, è nullo (ricordo che non necessariamente una grandezza periodica deve essere alternata ma per esserlo deve avere un valore medio pari a 0 in T).
Le grandezze alternate sinusoidali hanno una relazione analitica di questo tipo: y(t)=A*sin(omega*t), in cui omega=2*pi*f [rad/s] è la pulsazione dell'onda (ossia la sua frequenza angolare) e A è l'ampiezza (massima) della funzione.
Ora, un segnale periodico, essendo ciclico (i cicli della funzione possono assumere diverse forme: sinusoide raddrizzata a singola e a doppia semionda, come nel caso degli alimentatori, oppure rettangolare (quadra) raddrizzata a singola semionda o simmetrica, ecc.), è scarno di informazione proprio perché ad ogni ciclo i valori si ripetono inalterati; questo è il motivo per cui le grandezze periodiche vengono utilizzate come generatori di segnali di riferimento, a varie frequenze, o in fase di "troubleshooting" di circuiti elettrici per simulare vari segnali d'ingresso, utili per la ricerca del guasto.
Le grandezze in grado di trasportare informazioni sono quelle aperiodiche; più alta è la loro frequenza, maggiore è la quantità d'informazione contenuta in tali grandezze.
Vediamo ora quali sono i parametri (vedi link) più importanti di una forma d'onda periodica: 1) il valore di picco (Vp) è il massimo valore assunto dal segnale; 2) il valore picco-picco (Vpp) è la differenza tra Vp e il valore minimo Vmin del segnale;
3) il valore medio Vm nel periodo, che si definisce come quel numero che moltiplicato per il periodo T fornisce l'area della curva (sempre nel periodo T): non potendosi calcolare tramite la semplice media aritmetica (i valori sono infiniti all'interno del ciclo), dovremo utilizzare il calcolo integrale (vedi link). Il valore medio rappresenta la cosiddetta componente continua del segnale; 4) il valore efficace Veff (RMS), che si calcola mediante la radice quadrata del valore medio (sempre un integrale) nel periodo del quadrato della grandezza (ad es. la tensione) di riferimento.
Il valore efficace di un segnale elettrico ha un importante significato fisico (oltre al fatto che gli strumenti di misura utilizzati nell'elettrotecnica misurano il valore efficace di una grandezza elettrica): esso rappresenta quel valore che, tenuto costante in un resistore per un tempo pari a T (periodo), produrrebbe la stessa dissipazione di potenza (media), per effetto Joule, del segnale periodico.
Essendo il valore efficace Veff=Vp/sqrt(2) (cioè il valore di picco diviso la radice quadrata di 2), avremo ad esempio, nel caso della tensione efficace di rete a 230V, un valore di picco di circa 325V e un valore picco-picco di 650V.
A presto ;)

P.S. http://home.teletu.it/Tekno5/esercizi/elettrotecnica/teoria/ca_intro.html :sisi:

P.P.S. Nelle telecomunicazioni l'ampiezza di un segnale elettrico si esprime in dBV (decibel di tensione), calcolati in questo modo: 20*log10(Veff/Vrif), ossia 20 che moltiplica il logaritmo decimale del rapporto tra il valore efficace della tensione e una tensione di riferimento (che vale, nel campo della telefonia analogica, 0.775V), variabile in base all'ambito di utilizzo.
Conoscendo il livello in dBV, è possibile risalire, utilizzando la formula inversa, al valore efficace della tensione in volt.
 
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GRANDEZZE ALTERNATE SINUSOIDALI
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Prima di dare inizio allo studio delle reti in regime sinusoidale, vorrei svolgere alcune importanti osservazioni sulla differenza tra l'analisi di reti in corrente continua e l'analisi di reti in corrente alternata.
Nel caso di reti alimentate in continua, per ricavare le tensioni e le correnti, in regime permanente, è sufficiente analizzare la rete dopo che sono stati aperti i condensatori e aver cortocircuitato gli induttori.
D'altra parte, quando tensioni e correnti sono variabili nel tempo, cosa che accade durante la fase transitoria oppure applicando segnali di eccitazione diversi da quelli continui, la questione si complica.
Perché si complica ?
Perché la presenza di componenti reattivi (induttori e condensatori) nella rete implica l'introduzione di relazioni di tipo differenziale nelle espressioni matematiche che coinvolgono correnti e tensioni (nell'induttore la tensione istantanea è, per valori infinitesimi, v(t)=L*di/dt; nel condensatore la corrente istantanea è, per valori infinitesimi, i(t)=C*dv/dt).
In questi casi può essere utile ricorrere a metodi di "trasformazione", in grado di convertire le equazioni differenziali in equazioni algebriche, di più semplice risoluzione.
Fatta la dovuta premessa, per l'analisi di reti lineari in regime sinusoidale (sempre a transitorio esaurito) si utilizza il metodo "simbolico" (che per il momento non illustreremo) mentre nei casi di analisi dei transienti e della risposta di sistemi lineari "eccitati" con segnali di forma d'onda qualsiasi viene utilizzata la trasformata di Laplace.
Uno dei motivi per cui l'analisi del comportamento di una rete elettrica in regime sinusoidale è fondamentale è che, attraverso l'analisi armonica di Fourier (che vedremo a breve), è possibile scomporre qualunque forma d'onda periodica continua in una serie di funzioni sinusoidali di una determinata frequenza.
Ora, come si possono rappresentare analiticamente le grandezze sinusoidali alternate ?
Si è pensato di associare ad un segnale sinusoidale uno specifico vettore (rotante nel piano con una certa pulsazione omega rad/s), denominato "fasore", che ha un modulo (pari al valore di picco Vp del segnale) e una posizione angolare alfa (l'angolo che il fasore forma con l'asse x orizzontale del piano cartesiano) che rappresenta la fase iniziale (ricordo che alfa è positivo se misurato in senso antiorario rispetto all'asse x delle ascisse).
Supponendo che il fasore, all'istante t=0, abbia una posizione angolare pari a phi, si ha che una generica funzione sinusoidale presenta la seguente espressione analitica: v(t)=Vp*sin(omega*t+phi).
L'angolo compreso tra due fasori rappresenta lo "sfasamento" Delta-phi=phi1-phi2 tra i due segnali. Lo sfasamento può essere in anticipo o in ritardo.
In base a queste considerazioni è possibile, avendo più sinusoidi isofrequenziali (tutte con la stessa frequenza), costruire un diagramma "vettoriale" delle grandezze alternate prese in esame.
Per convenzione tutti i fasori associati sono considerati fissi (non rotanti), ossia nella posizione angolare corrispondente all'istante t=0, pari alla fase phi delle sinusoidi, e al modulo del vettore non viene associato il valore Vp di picco ma il suo valore efficace.
Ciò consente di mantenere inalterate tutte le informazioni relative alle grandezze sinusoidali, a meno dell'informazione sulla pulsazione (e quindi sulla frequenza) che viene persa (ma sappiamo che è uguale per tutte le sinusoidi e che dovrà essere comunicata a parte).
E' possibile la rappresentazione contemporanea di tensioni e correnti; in tal caso il Delta-phi tra i relativi fasori rappresenta lo sfasamento tra la corrente e la tensione.
A presto ;)

P.S. Il modulo e l'argomento di un vettore (cioè la sua rappresentazione vettoriale/polare) forniscono le coordinate polari del vettore all'istante di tempo t=0 :sisi:
http://www.barrascarpetta.org/01_ele/m_2/m2_u2.htm :ok:
 
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Utente 16812

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ANALISI ARMONICA DI FOURIER
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Consideriamo una funzione periodica (di periodo T0 e quindi con frequenza f0=1/T0) f(t) con pulsazione omega0=2*pi*f0.
In base al teorema di Fourier, detto anche "sviluppo in serie", la funzione f(t) è scomponibile nella somma di una funzione costante, che corrisponde al suo valore medio, di una funzione sinusoidale a frequenza f0, detta "fondamentale" o prima armonica, e di infinite altre armoniche sinusoidali che hanno frequenze multiple di f0.

350894

Il valore n identifica l'ordine dell'armonica (cioè il suo grado); il termine A0 rappresenta il valore medio di f(t) (nel caso di funzioni alternate deve risultare A0=0); il termine An è l'ampiezza massima dell'armonica di ordine n; il termine n*omega0 è la pulsazione dell'armonica di ordine n; phi-n è la fase dell'armonica di ordine n.
Tenendo conto dell'importanza che, nell'elettronica, ricopre lo studio delle forme d'onda, risultano le seguenti semplificazioni: 1) le funzioni alternate, quelle che nei due semi-periodi assumono valori uguali e opposti, contengono solo le armoniche dispari (la prima, la terza, ecc.);
2) all'aumentare dell'ordine delle armoniche aumenta la frequenza e diminuisce l'ampiezza, pertanto si possono trascurare le armoniche di ordine superiore, approssimando lo sviluppo solo con i primi termini della serie (diciamo che il contributo "energetico" delle varie armoniche, nella maggior parte dei casi, tende a diminuire all'aumentare della frequenza, oltre un certo valore risulta trascurabile).
Di rilevante importanza è anche il fatto che, rappresentando graficamente le ampiezze delle armoniche in funzione della frequenza, si può ottenere lo "spettro delle ampiezze" della forma d'onda presa in considerazione.

350895

Un'analoga rappresentazione grafica può essere fatta per lo "spettro delle fasi".
La banda del segnale rappresenta il "range" di frequenze in cui lo spettro del segnale è contenuto o comunque l'intervallo di frequenze che contiene il 99% dell'energia del segnale stesso.
In laboratorio viene utilizzato l'analizzatore di spettro per visualizzare lo spettro di un segnale.
Propongo ora un esempio di sviluppo in serie di Fourier: nel caso di una forma d'onda quadra alternata si ottiene l'espressione f(t)=4/pi*(sin(omega0*t)+(1/3)*sin(3*omega0*t)+(1/5)*sin(5*omega0*t)+...).

350896

Come si nota, sono assenti sia il valore costante che le armoniche di ordine pari, essendo la funzione alternata; inoltre la fase iniziale è nulla in tutte le armoniche indipendentemente dal loro ordine; infine all'aumentare della frequenza l'ampiezza diminuisce in modo inversamente proporzionale.
Analoghe considerazioni possono essere svolte nei casi di altri tipi di forma d'onda (triangolare, a dente di sega, ecc.).
In conclusione mi preme mettere in risalto la rilevante importanza dell'analisi armonica di Fourier nello studio di grandezze variabili con legge sinusoidale nei casi in cui tali grandezze siano affette da disturbi che ne modificano la forma.
A presto ;)

P.S. A differenza di un segnale periodico, caratterizzato da uno spettro "discreto" (composto da righe separate), lo spettro d'ampiezza di un segnale aperiodico risulta "continuo" in quanto è costituito da infinite armoniche poste a distanza infinitesima l'una dall'altra sul grafico delle frequenze (il periodo è infinito e la frequenza fondamentale è di valore infinitesimo).
Per approfondimenti: http://www.edutecnica.it/elettronica/fourier/fourier.htm :sisi:
 
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Utente 16812

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RAPPRESENTAZIONE SIMBOLICA DI GRANDEZZE SINUSOIDALI
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L'analisi matematica fornisce, oltre ai vettori piani, un altro strumento matematico caratterizzato da modulo e fase: si tratta del numero complesso. Un numero complesso è legato ad un vettore dal momento in cui quest'ultimo viene rappresentato nel piano complesso di Gauss-Argand: ad esempio il vettore V ha una rappresentazione complessa del tipo V=a+j*b, in cui a è la parte reale e j*b è la parte immaginaria.
Nel piano complesso l'asse delle ascisse è l'asse reale e l'asse delle ordinate è l'asse immaginario.
Tale rappresentazione delle grandezze sinusoidali in forma complessa viene definita rappresentazione "simbolica".
Tenendo conto delle proprietà dell'unità immaginaria j (prima regola: j*j=-1; seconda regola: moltiplicando un numero complesso per j equivale a sfasare di 90° in anticipo la grandezza sinusoidale), è possibile effettuare la conversione da coordinate rettangolari (cartesiane) a coordinate polari (e viceversa); avremo quindi: il modulo |V|=sqrt(a^2+b^2) e l'argomento phi=arctg (b/a) (nel 1° quadrante, con a>0 e b>0), nel passaggio da rettangolari a polari.
Viceversa, nel passaggio da polari a rettangolari, avremo a=|V|*cos(phi) (la parte reale) e b=|V|*sin(phi) (la parte immaginaria).
Il vantaggio della rappresentazione simbolica consiste nel semplificare lo studio di reti lineari in regime sinusoidale, in quanto si passa da relazioni di tipo differenziale, dovute alla presenza di elementi reattivi, a relazioni algebriche tra numeri complessi, ma è da ricordare che il metodo simbolico risulta valido solo per la fase di regime permanente (ovvero a transitorio esaurito e segnali sinusoidali isofrequenziali); come già sappiamo, infatti, per la fase transitoria si utilizza la trasformata di Laplace (per la TL leggere i miei articoli di "Cibernetica").
A presto ;)

P.S. Si può, mediante la formula di Eulero (e^(j*phi)=cos(phi)+j*sin(phi)), esprimere un numero complesso nella forma V=a+j*b=|V|*e^(j*phi). Tale forma costituisce la rappresentazione esponenziale del numero complesso (l'angolo va espresso in radianti).
http://www.barrascarpetta.org/01_ele/m_2/m2_u3.htm :ok:
 
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Utente 16812

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BIPOLI LINEARI IN ALTERNATA
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Alimentiamo in corrente alternata una rete comprendente bipoli lineari R-L-C e verifichiamo il diverso comportamento dei componenti reattivi al variare della pulsazione.
Nel caso di un induttore (ideale) si avrà, derivando l'espressione della corrente rispetto al tempo e moltiplicando per L, la seguente tensione: v(t)=omega*L*I*sin(omega*t+phi+pi/2).
Nel campo complesso risulta V=j*omega*L*I, dalla quale si deduce che la tensione ai capi dell'induttore è sfasata di pi/2 rad in anticipo sulla corrente e ha ampiezza pari a omega*L*I (proporzionale alla pulsazione).
Analogamente, per un condensatore (ideale) avremo, nel campo complesso, la seguente espressione: I=j*omega*C*V (la corrente è sfasata di pi/2 rad in anticipo rispetto alla tensione e ha modulo pari a omega*C*V).
Per quanto riguarda il resistore, la legge di Ohm rimane identica (V=R*I) anche nel campo complesso.
Definiamo l'impedenza di un bipolo come quel numero complesso che ha per modulo il rapporto tra i moduli della tensione e della corrente (Z=V/I) e per argomento lo sfasamento tra tensione e corrente.
Essendo un numero complesso, l'impedenza Z=R+j*X è formata da una parte reale (la resistenza R) e da una parte immaginaria (la reattanza X). Nel caso dell'induttore, essendo la reattanza induttiva Xl=omega*L (positiva), scriveremo Zl=j*Xl; per il condensatore, con reattanza capacitiva Xc=-1/(omega*C) negativa, avremo Zc=j*Xc.
Per la ricerca dell'impedenza equivalente di più bipoli in serie o in parallelo si utilizzano le stesse formule relative al resistore (Zeq=Z1+Z2 se in serie e 1/Zeq=(1/Z1)+(1/Z2) se in parallelo).
Buona lettura ;)

P.S. Vedremo in seguito le espressioni relative alle potenze (attiva, reattiva ed apparente) :sisi:
http://www.barrascarpetta.org/01_ele/m_2/m2_u4.htm :ok:
 
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POTENZA IN C.A.
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In un bipolo lineare di impedenza Z in corrente alternata, la tensione V è pari al prodotto dell'impedenza Z per la corrente I: V=Z*I.
Il vettore V è dato, in modulo, dal prodotto dei moduli di Z e I mentre la fase phi corrisponde alla somma delle fasi.
Andando a disegnare la corrente I sull'asse reale del piano complesso di Argand-Gauss, la fase della tensione è pari a phi, in anticipo sulla corrente se phi>0 o in ritardo sulla corrente se phi<0.
L'espressione della potenza istantanea è: p(t)=v(t)*i(t).
Andando a sostituire le relative funzioni sinusoidali, otterremo (la formula non verrà dimostrata): (Vp*Ip/2)*cos(phi)*(1-cos(2*omega*t))+(Vp*Ip/2)*sin(phi)*sin(2*omega*t).
Il primo termine della somma, sempre positivo, rappresenta la potenza "attiva" assorbita dal bipolo e trasformata in calore per effetto Joule o in lavoro utile, il secondo termine, che ha valore medio nullo, rappresenta invece la potenza "reattiva", ovvero la potenza scambiata (cioè assorbita e poi ceduta) dal bipolo in maniera alternata.
Avremo dunque tre potenze, con le stesse dimensioni fisiche ma espresse con unità di misura diverse per mettere in evidenza il fatto che non si possono sommare tra loro: 1) la potenza attiva P=Veff*Ieff*cos(phi), dissipata in calore, che ha unità di misura [W]; 2) la potenza reattiva, che si misura in VAR (volt-ampere reattivi), alternativamente scambiata dal bipolo, pari a Q=Veff*Ieff*sin(phi); 3) la potenza "apparente" A=Veff*Ieff, misurata in VA (volt-ampere), che rappresenta l'ampiezza dell'oscillazione della potenza istantanea (informazione utile, ad esempio, per dimensionare generatori, conduttori, ecc.).
Per le relazioni tra le tre potenza P, Q e A, si può fare riferimento al cosiddetto "triangolo delle potenze", in cui P=A*cos(phi), Q=A*sin(phi) e A=sqrt((P^2)+(Q^2)).
In pratica P (potenza attiva) e Q (potenza reattiva) sono i cateti del triangolo rettangolo, A (potenza apparente) è l'ipotenusa del triangolo rettangolo, l'angolo phi (cos(phi) è chiamato "fattore di potenza") è quello compreso tra A e P.
Buona lettura e buon Anno a tutti :brindiamo:

P.S. https://www.nihilscio.it/Contributi/Elettrotecnica/Gennaro Bottiglieri/Corso_di_Elettrotecnica/Corrente_alternata_Potenza.htm ;)
 
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Utente 16812

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IL SISTEMA BIFASE
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Consideriamo due distinti circuiti generatori di fem sinusoidale E1 e E2, ciascuno dei quali alimenta, separatamente, due impedenze risp. Z1 e Z2 (la fem E1 alimenta l'impedenza Z1, la fem E2 alimenta Z2).
In questo caso, come sappiamo, la legge di Ohm vale: I1=E1/Z1 e I2=E2/Z2.
Supponiamo ora che le due tensioni e le due correnti nei due circuiti siano uguali ma sfasate tra loro di 1/4 del periodo (cioè di 90°).
Ponendo in comune i due fili di ritorno della corrente, avremo che la corrente totale del conduttore comune è pari alla somma vettoriale delle correnti dei due circuiti: I0=I1+I2.
Se il sistema è bilanciato (carichi uguali), essendo le due correnti sfasate di 90° tra loro, si avrà I0=I*sqrt(2).
Come si osserva, la corrente di ritorno è minore della somma delle due correnti di ritorno, prese separatamente sui due circuiti monofase.
L'applicazione più importante del sistema bifase si ha nella generazione del CMR (campo magnetico rotante) che si ottiene "avvolgendo" due bobine, poste a 90° l'una dall'altra in posizione fissa, e alimentandole ciascuna da una fase del generatore.
Senza analizzare in dettaglio l'andamento del flusso magnetico, intuitivamente si nota la generazione di un flusso magnetico rotante a frequenza angolare omega.
Su quest'idea del CMR di Galileo Ferraris si basa la costruzione dei motori asincroni monofase, utilizzati in tutti gli elettrodomestici di uso comune dove sono richieste piccole potenze, in cui da una corrente alternata monofase si ottiene un sistema bifase.
Il funzionamento del motore asincrono monofase si basa sul fatto di poter "scomporre" il campo alternato in due campi "controrotanti", ciascuno con ampiezza metà di quello principale (ricordo che gli avvolgimenti, quello "principale" e quello "ausiliario", sono sfasati di 90° tra loro), che interagiscono col rotore a gabbia di scoiattolo, generando due coppie motrici uguali e opposte.
Buona lettura ;)

P.S. http://www.barrascarpetta.org/m_02/215_mn.htm (motori monofase) :asd:
 
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Utente 16812

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IL SISTEMA TRIFASE
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Come abbiamo fatto per il sistema bifase, consideriamo tre circuiti distinti con tre generatori di fem E1, E2 e E3, che alimentano tre impedenze risp. Z1, Z2 e Z3.
La legge di Ohm relativa ai tre generatori è: I1=E1/Z1 - I2=E2/Z2 - I3=E3/Z3.
Ponendo in comune i tre fili di ritorno, nel filo di ritorno circolerà la corrente I0, pari alla somma vettoriale delle tre correnti: I0=I1+I2+I3.
Nel caso particolare in cui ci troviamo in condizioni di carico equilibrato e le correnti sono sfasate di 1/3 di periodo (120°) tra loro, la somma vettoriale delle correnti sul neutro è nulla (I0=0) e il cavo centrale può essere eliminato: siamo così in grado di trasmettere energia con tre cavi, anziché con sei.
Un'applicazione importante del sistema trifase riguarda la possibilità di creare un CMR trifase, che è alla base della costruzione di molti motori elettrici utilizzati nell'industria.
Infine, rispetto ad un sistema monofase, avremo una minore potenza dissipata lungo la linea elettrica, in quanto la trasmissione di energia avviene, come già visto, con tre fili anziché con sei.
A presto ;)

P.S. http://www.cnos-fap.it/sites/defaul...spense di Teoria professionale terzo anno.pdf :sisi:
 

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