In questo caso, il relativo verbale dovrà essere notificato, all'intestatario dell'auto presso il pubblico registro automobilistico, entro il termine di giorni 150 da quando è stata commessa o rilevata l'infrazione.
Nel termine, poi, di trenta giorni dalla predetta comunicazione, l'intestario dell'auto ha l'obbligo di comunicare, all'organo che ha accertato la violazione, chi era alla guida del mezzo al momento del rilevamento.
Se ciò egli non fa entro gg. 30 – che dovrebbe essere un termine perentorio, ma poiché il codice non lo dice affatto potrebbe anche essere un termine ordinatorio: cioè da non rispettare alla lettera), non solo gli vengono sottratti i punti dalla patente di guida, ma quel che costituisce una grave ingiustizia è il fatto che scatta, "ipso facto", un meccanismo vessatorio nei confronti dell'automobilista, previsto dallo stesso articolo 126 bis del codice della strada, comma secondo, il quale prevede a suo carico, richiamandole espressamente, le sanzioni dell'art 180 del codice della strada.
Questo, al comma ottavo, infatti, prevede il pagamento di una sanzione amministrativa che va da euro 357,00 (il minimo edittale) ad euro 1433,00 (in caso di recidiva).
Ebbene, far scattare automaticamente – a carico del proprietario del mezzo – a seguito dell' omessa comunicazione dei dati del conducente, all'agente accertatore, una sanzione così esosa costituisce, senza dubbio, una grave ingiustizia nei confronti dell'automobilista cui è stata notificata l'infrazione.
Infatti, sussistono giustificati motivi, "Irragionevolezza della norma", per ritenere il citato art.126 bis del Codice della strada – che al comma secondo richiama appunto le conseguenze sanzionatorie (cioè il pagamento della superiore somma), previste dall'art 180 comma ottavo del c.d.s. – d'illegittimità costituzionale, e ciò proprio nella parte in cui il citato articolo in relazione all'art 180 comma otto del cds, prevede, quale nuova fattispecie di violazione amministrativa, il fatto che il proprietario del mezzo (il cui guidatore non sia stato identificato, perché non potuto fermare nel momento in cui è stata commessa l'infrazione), non comunichi i dati del conducente che – potrebbe essere, come avviene il più delle volte, lo stesso proprietario – era alla guida.
L'obbligo di tale comunicazione, si configura, in buona sostanza, come un "obbligo di denunzia" di una violazione sia pure di carattere amministrativo, che viene posto al carico del cittadino-automobilista.
Ora, il privato cittadino, quale appunto è l'automobilista – contrariamente a quanto avviene per chi, invece, è un pubblico ufficiale od incaricato di un pubblico servizio, che è obbligato, ope legis, a denunziare qualsivoglia violazione di norme di legge – non ha alcun obbligo di denunziare un determinato fatto o reato od anche un'infrazione e, quindi, in sintesi, non ha l'obbligo di comunicare chi era alla guida del mezzo, anche se poi questa voluta omissione fa scattare, automaticamente, la decurtazione dei punti, dalla patente di guida dell'intestatario dell'auto.
Dunque la citata norma (art. 126 bis del cds), impone un obbligo di denunzia, da parte del privato, che questo obbligo legalmente non ha, in quanto non è un pubblico ufficiale.
Ma quel che diventa ancor più grave è il fatto che tale ingiusta norma impone, al proprietario dell'auto, l'obbligo di rendere testimonianza indicando appunto il nome del conducente ed i dati della sua patente.
Ebbene, qualora la norma sopra contestata venga interpretata anche come obbligo di testimonianza, emerge un secondo profilo di incostituzionalità della norma, e ciò in relazione all'art 24 comma due della costituzione, oltre che in relazione all'art 3 sempre della stessa costituzione.
Infatti, se è vero che ogni cittadino, qualora venga chiamato per rendere testimonianza, non potrà rifiutarsi – la testimonianza è un dovere, legalmente sanzionato – nessuno, però, può essere obbligato a testimoniare contro se stesso (dichiarando che era lui alla guida del mezzo al momento del rilevamento dell'infrazione), e ciò nel preciso rispetto del principio giuridico di grande civiltà, che afferma come: "nemo tenetur se detergere" (Id est: nessuno può essere obbligato ad accusare se stesso), ma neppure può essere obbligato ad accusare e rendere dichiarazioni contro terzi, dalle quali dichiarazioni potrebbe, poi, scaturire un procedimento sanzionatorio contro quest'ultimi.
Così, con questo sottile ragionamento, certamente fondato dal punto di vista giuridico, il Giudice di Pace di Pisa, con ordinanza del 22 Novembre 2005 n. 63, pubblicata sulla gazzetta ufficiale n 11 del 15 marzo 2006, ha sollevato la questione d' incostituzionalità dell'art 126 bis secondo comma del c.d.s., in relazione all'art. 180 comma ottavo dello stesso codice.
Spetterà, ora, alla Corte Costituzionale che già una prima volta, sebbene sotto altro angolatura, aveva preso in esame l'articolo 126 bis, di risolvere la nuova sollevata eccezione d' incostituzionalità.