Le nanotecnologie

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Utente 16812

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IL DROGAGGIO
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I semiconduttori sono elementi chimici tetravalenti, appartenenti al gruppo IV del sistema periodico degli elementi, i cui atomi, tramite legami covalenti, compongono una struttura cristallina a forma tetraedrica, ossia ciascun atomo è circondato da altri quattro, in modo da formare l'ottetto elettronico.
Il primo semiconduttore utilizzato in elettronica è stato il germanio (Ge), presto rimpiazzato dal silicio (Si), il quale ha un "range" di temperature di lavoro più elevato (fino a 200°C, rispetto ai 90°C-100°C del germanio). I semiconduttori puri, cioè non drogati, si definiscono "intrinseci".
Essendo il legame covalente tra atomi di silicio molto debole, già a temperatura ambiente (circa 25°C) alcuni elettroni possiedono energia sufficiente per rompere il legame e passare dalla banda di valenza a quella di conduzione. Gli elettroni nella banda di conduzione possono muoversi liberamente all'interno del cristallo, sotto l'azione di un campo elettrico esterno.
Quindi la rottura di un legame covalente produce da un lato la liberazione di un elettrone, che ha carica negativa, dall'altro la formazione di uno ione positivo, privo dell'elettrone che si è liberato, che si comporta come una "lacuna".
Applicando una d.d.p. alle estremità di una lamina di silicio puro (intrinseco), a causa del campo elettrico gli elettroni di conduzione si dirigono verso il polo positivo del generatore; d'altra parte anche gli elettroni di valenza, sollecitati dalla forza del campo elettrico, vanno verso il polo positivo e possono occupare le lacune lasciate libere dagli elettroni che hanno rotto i legami covalenti. Il movimento delle lacune può essere interpretato come uno spostamento di cariche positive verso il polo negativo.
Riassumendo, in un semiconduttore intrinseco la corrente è dovuta a due diversi tipi di "portatori di carica": gli elettroni della banda di conduzione e le lacune, il cui movimento "apparente" è in realtà dovuto allo spostamento degli elettroni di valenza.
Il verso "convenzionale" della corrente, ancora oggi adottato, coincide proprio con quello delle lacune.
Ora c'è da puntualizzare un fatto: a differenza di ciò che accade nei metalli, nei semiconduttori intrinseci la resistività diminuisce all'aumentare della temperatura, perché i portatori di carica aumentano man mano che la temperatura cresce.
Per la costruzione dei dispositivi elettronici, però, non vengono utilizzati semiconduttori intrinseci, la loro struttura cristallina viene modificata attraverso una tecnica detta "drogaggio" (doping), che consiste nell'introduzione di "impurità" (in percentuale molto piccola, di solito qualche parte per milione), ossia di atomi di specie diversa, nel cristallo semiconduttore.
Nel drogaggio di tipo N si inseriscono nel cristallo atomi di sostanze pentavalenti (ad es. il fosforo (P)). Il drogante pentavalente si chiama "donatore" (o "donore").
Rispetto ai quattro elettroni che formano altrettanti legami covalenti col silicio, rimane un elettrone in eccesso, libero per la conduzione, per cui la resistività del semiconduttore drogato N è inferiore rispetto a quella intrinseca (ma sufficientemente grande per l'utilizzo nella micro e nella nanoelettronica).
Nel drogaggio di tipo P, invece, si immettono nel cristallo atomi di sostanze trivalenti (ad es. l'alluminio (Al)). Il drogante trivalente si chiama "accettore".
Si forma così una lacuna che in pratica è una carica positiva disponibile per la conduzione, per cui la resistività del cristallo drogato P è, anche in questo caso, inferiore a quella intrinseca.
Gli elettroni nel semiconduttore drogato N e le lacune nel semiconduttore drogato P vengono denominate "cariche maggioritarie".
Viceversa, le "cariche minoritarie" sono gli elettroni nel semiconduttore drogato P e le lacune nel semiconduttore drogato N.
La conducibilità dovuta alle cariche maggioritarie aumenta all'aumentare della concentrazione del drogante, mentre la conducibilità dovuta alle cariche minoritarie aumenta all'aumentare della temperatura.
Da notare che sia nei casi di drogaggio P che in quelli di drogaggio N il cristallo è sempre neutro elettricamente, il numero totale di elettroni è pari a quello dei protoni che si trovano all'interno dei nuclei atomici.
Cosa accade ora se, disponendo di un cristallo di silicio puro, realizziamo due zone (sulla stessa lamina), una drogata P e l'altra N ?
Si forma la cosiddetta "giunzione P-N". Gli elettroni maggioritari della zona N "migrano" verso la zona P, le lacune maggioritarie dalla zona P vanno verso la zona N, si ha così una "corrente di diffusione". Lo spostamento di tali cariche fa nascere una "barriera di potenziale", la quale esercita una forza sui portatori, di conseguenza si genera una "corrente di drift" (deriva), con verso opposto a quello di diffusione.
Per una certa temperatura si arriva ad una situazione di equilibrio (dinamico) in cui la corrente di diffusione e quella di drift hanno la stessa intensità ma verso opposto.
Per il silicio, ad esempio, la tensione sulla giunzione vale, in condizioni di equilibrio, circa 0.6V (si chiama tensione di built-in).
A ridosso della giunzione i portatori N si "combinano" con i portatori P, si forma così una zona di "svuotamento" (depletion layer), detta anche "zona di carica spaziale".
Tale zona di depletion si comporta in pratica da dielettrico ed è responsabile degli effetti "parassiti" (capacitivi) della giunzione.
Per concludere, diciamo che il funzionamento dei dispositivi a semiconduttore (diodi, transistor, ecc.) si basa proprio su quei fenomeni che accadono nella regione di svuotamento, a ridosso delle giunzioni.
Buona lettura :)
https://it.wikipedia.org/wiki/Fisica_dei_semiconduttori
https://it.wikipedia.org/wiki/Drogaggio

P.S. Con opportuni processi tecnologici, in particolare con la tecnica fotolitografica (di cui parleremo in seguito), il drogaggio può essere effettuato con precisione sub-micrometrica.
In questo modo è possibile costruire dispositivi nanoelettronici come, ad esempio, i transistor ad effetto di campo (FET).
 
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Utente 16812

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I TRANSISTOR FET
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I transistor FET (Field Effect Transistor) sono dispositivi elettronici attivi con cui si possono realizzare amplificatori.
A differenza di ciò che accade nei BJT (transistor bipolari a giunzione), in cui la corrente sulla base controlla la corrente di collettore (quest'ultima Hfe volte maggiore), nei FET il controllo delle cariche che scorrono nel circuito d'uscita avviene per effetto di un campo elettrico generato dalla tensione in ingresso; in questo modo il FET non richiede alcuna corrente al segnale di ingresso, l'impedenza d'ingresso è praticamente infinita e ciò lo rende particolarmente adatto al trattamento di segnali molto deboli (motivo per cui viene utilizzato come stadio d'ingresso di vari dispositivi). L'effetto di campo può essere ottenuto secondo due diverse modalità:
1) nei JFET (FET a giunzione) l'effetto di campo viene realizzato mediante una giunzione PN polarizzata negativamente;
2) negli IGFET (FET a Gate isolato) l'effetto di campo è ottenuto controllando lo scorrimento delle cariche all'interno di un semiconduttore drogato, tramite un elettrodo separato dal semiconduttore con uno strato isolante di biossido di silicio (SiO2). I MOSFET fanno parte della famiglia degli IGFET.
Un MOSFET (Metal Oxide Silicon FET) a canale N è strutturato nel seguente modo: 1) c'è un substrato di silicio drogato P nel quale sono state ricavate due zone drogate N a cui corrispondono i due elettrodi di Source e di Drain; 2) lo strato isolante di SiO2 separa "fisicamente" l'elettrodo metallico del Gate dal substrato di silicio; 3) il canale N che collega le zone N del Source e del Drain può essere "modulato" per effetto del campo elettrico generato dalla tensione del Gate.
Ora, nel caso del transistor NMOS (MOSFET a canale N), da me illustrato, il semiconduttore che forma il substrato è, come abbiamo visto, drogato P, per cui saranno presenti alcuni portatori minoritari N; applicando un potenziale positivo al Gate, i portatori N (minoritari) verranno attratti verso la zona sottostante il Gate stesso, formando il canale N e permettendo la conduzione elettrica tra il Source e il Drain.
I MOSFET a canale N e a canale P sono di due tipi: 1) tipo enhancement (a riempimento), in cui nel canale non vi sono portatori se il Gate non è polarizzato; 2) tipo depletion (a svuotamento), in cui viene realizzato un canale di portatori, in fase costruttiva.
In quest'ultimo caso (MOSFET depletion) la corrente di Drain Id aumenta se il potenziale del Gate è di segno opposto a quello del canale e diminuisce se il potenziale del Gate è di segno concorde con quello del canale.
Ciò significa che i MOSFET depletion possono essere usati senza polarizzazione perché sono in grado di funzionare con tensioni di Gate sia in aumento che in diminuzione rispetto al potenziale di riferimento.
I transistor MOSFET costituiscono i mattoni fondamentali dell'elettronica digitale.
https://it.wikipedia.org/wiki/MOSFET :sisi:
Con i MOSFET realizzati in tecnologia "Silicon Gate" è possibile sostituire un resistore con un MOSFET, come accade negli invertitori logici (porte NOT), inoltre la possibilità di utilizzare MOSFET in tecnologia "complementare" (a canale P e a canale N) ha consentito la realizzazione, in campo digitale, della famiglia logica CMOS, che sfrutta le proprietà di questi dispositivi.
In tecnologia CMOS si possono realizzare anche applicazioni lineari, come ad es. gli amplificatori invertenti, che danno una buona potenza d'uscita e non richiedono alcuna corrente al segnale in ingresso. Attualmente si sta cercando di migliorare alcune caratteristiche dei transistor FET tramite l'utilizzazione di nuovi materiali.
Nei transistor High-k si utilizza un materiale ad alta costante dielettrica in modo tale da isolare il Gate mediante uno strato di materiale estremamente sottile. Faccio notare che la classificazione delle odierne architetture costruttive si basa sulla larghezza del canale di conduzione, un transistor Intel moderno è fabbricato a tecnologia 14 nm.
Altri settori di ricerca mirano a sostituire l'attuale tecnologia di progettazione dei transistor con un'altra completamente diversa, basata sull'utilizzo di nanotubi di carbonio come canale di conduzione.
Buona lettura ;)

P.S. Nel settembre 2013 sul New York Times venne diffusa la notizia della realizzazione del primo computer che utilizza un processore costruito a partire da nanotubi di carbonio:
CPU multitasking ai nanotubi di carbonio, addio silicio - Tom's Hardware :sisilui:
 
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Utente 16812

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I circuiti integrati vengono costruiti a partire da un substrato di silicio purissimo detto "wafer" (fetta) :sisi:
Sul wafer vengono integrati molti chip, ciascuno dei quali può contenere miliardi di transistor :shock:
Per fare ciò, in fasi diverse vengono depositati sulla "fetta" differenti strati di ossidi e di metalli, attraverso parecchi passaggi sia di tipo fisico (deposizione) che di tipo chimico (uso di solventi) :sisi:
Ora, dato che, per fare un esempio, il Gate di un FET ha dimensioni di decine di nanometri, si capisce come la deposizione di materiali sulla superficie del wafer debba essere effettuata con la massima precisione.
Per poter ottenere questo, si procede con la lavorazione "in parallelo", ossia ciascun nuovo strato si deposita su tutti gli altri contemporaneamente :asd:
Questo processo di lavorazione in parallelo viene chiamato "litografia", in analogia con quello attuato in campo fotografico, quando una lastra fotosensibile viene "impressionata", esponendola alla luce solare, da un oggetto :sisi:
Tornando all'esempio del FET, lo strato di ossido viene depositato su tutta la fetta di silicio e poi viene rimosso dalle aree non corrispondenti al Gate, lasciando tali aree esposte per il drogaggio o per successive deposizioni.
Innanzitutto si deve realizzare la "fotomaschera", cioè una lastra di quarzo con zone trasparenti e zone opache, in base al "pattern" che si vuole ottenere; poi il substrato si ricopre con uno strato di materiale fotosensibile, chiamato "fotoresist".
Attraverso la fotomaschera, con una lampada a luce ultravioletta si illumina il substrato, in questo modo sul fotoresist rimane "impressionato" il pattern della maschera (esposizione) :asd:
In seguito il substrato viene immerso in un solvente (questo accade perché la radiazione ultravioletta ha alterato i legami chimici del polimero, variandone la solubilità): dunque le zone illuminate sono diventate insolubili mentre le zone non illuminate vengono disciolte dal solvente.
Nella fase successiva, chiamata "etching" (attacco), il campione viene immerso nell'acido, il quale corrode l'ossido solo in quelle zone che non sono protette dal fotoresist. Infine il fotoresist viene rimosso con procedimenti fisici (incenerimento al plasma) oppure chimici (tramite solventi).
In genere il pattern della maschera ha dimensioni molto maggiori della nanostruttura, in tal caso un apposito sistema ottico proietta l'immagine rimpicciolita del pattern su tutta la superficie del wafer.
E' bene specificare che la limitazione di tale tecnica litografica (a luce ultravioletta) è dovuta ai limiti delle leggi dell'ottica geometrica (la lunghezza d'onda della radiazione utilizzata deve essere inferiore alle dimensioni dell'immagine), per cui non è possibile "produrre" strutture inferiori al centinaio di nanometri :nono:
Se vogliamo produrre nanostrutture più piccole, dobbiamo far ricorso a tecnologie litografiche a raggi X o a fascio elettronico (EBL - electron beam litography) :asd:
Buona lettura e buone feste a tutti :ok:

P.S. https://it.wikibooks.org/wiki/Micro...logia/Tecniche_litografiche/Litografia_ottica ;)
 
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Utente 16812

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APPROCCIO TOP-DOWN E APPROCCIO BOTTOM-UP
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Il processo fotolitografico descritto in precedenza, mediante il quale si realizzano chip e microprocessori, costituisce un esempio di approccio alla fabbricazione di tipo top-down: si parte dall'aggregazione di componenti elettronici alla macroscala (top) per pervenire alla loro "iperminiaturizzazione" (down).
Ciò, in definitiva, ha comportato il successo della moderna microelettronica.
Spesso la natura predilige, a diverse scale di grandezza fino ad arrivare alle grandi strutture dell'Universo, l'approccio opposto, chiamato bottom-up, in cui vari sistemi si organizzano spontaneamente, auto-aggregando (si parla di "Self-Assembly") atomi e molecole e utilizzando diversi processi chimici, in base ai principi di "riconoscimento molecolare", e varie interazioni molecolari (in particolare quelle deboli di Van der Waals tra molecole apolari).
In altre parole, in questi processi spontanei di Self-Assembly, l'entropia del sistema diminuisce: non c'è però alcuna violazione del secondo principio della termodinamica poiché in questo caso il sistema, scambiando energia con l'ambiente esterno, non è isolato.
Esempi di processi di Self-Assembly, in campo biologico, sono la formazione di proteine a partire da catene di amminoacidi (mediante legami peptidici), la struttura "bilayer" (a doppio strato) dei fosfolipidi (con le "teste" polari idrofile, rivolte verso la soluzione acquosa, e le code apolari idrofobe, rivolte verso l'interno della struttura), costituenti fondamentali delle membrane cellulari, le sequenze "complementari" delle basi azotate (l'adenina si accoppia con la timina, la citosina si accoppia con la guanina, attraverso legami a idrogeno) in una molecola di DNA.
Si tratta di processi naturali che sfruttano il principio del "riconoscimento molecolare" e che sono, da un punto di vista nanotecnologico, di enorme importanza per le applicazioni.
Nel settore della biosensoristica e delle analisi biochimiche, i sensori a micro e nano-cantilever hanno suscitato grande interesse nella comunità di ricercatori biomedici, soprattutto per le applicazioni di diagnostica clinica e l'individuazione di marcatori tumorali e di virus.
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Si utilizza l'effetto piezoresistivo, in base al quale applicando una sollecitazione meccanica si verifica una variazione della resistenza elettrica del materiale; in tal caso, i cantilever (in forma di arrays) forniscono in uscita una tensione proporzionale alla loro deflessione.
I sensori a cantilever vengono anche utilizzati, opportunamente "funzionalizzati" e quindi in grado potenzialmente di rilevare la presenza di biomolecole a livello di pochi attogrammi, nella microscopia AFM (a forza atomica) e in altri settori.
Un'altra tecnica costruttiva alla scala nanometrica riguarda l'auto-assemblaggio di molecole di alcanotioli (o di silani) sul substrato di un metallo nobile, ad esempio l'oro: si tratta dei cosiddetti SAM (Self-Assembled Monolayer), strutture costituite da un singolo strato (monostrato) ordinato di molecole sulla superficie del substrato.
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Con questa tecnica è possibile costruire virtualmente qualsiasi superficie, basata su qualsiasi tipo di chimica, collocando un substrato d'oro in una soluzione di alcanotioli in etanolo.
Applicazioni di monostrati di alcanotioli riguardano i biomateriali, l'assemblaggio di molecole di DNA, i cosiddetti "micro-array" biologici e l'elettronica biomolecolare.
A proposito dei dispositivi di nano-bioelettronica, può essere utile analizzare i meccanismi alla base di alcune funzioni metaboliche, come ad esempio le reazioni enzimatiche (l'attività degli enzimi è regolata in base a opportuni meccanismi di feedback negativo, secondo il modello cibernetico).
Gli enzimi sono catalizzatori biologici (generalmente sono proteine globulari) e non subiscono modificazioni al termine della reazione in cui sono coinvolti.
La caratteristica fondamentale di un enzima è la sua estrema specificità nei confronti del substrato (la sostanza che deve essere trasformata dall'enzima).
Dal punto di vista delle applicazioni nanotecnologiche, l'importanza dell'attività enzimatica sta nel fatto che l'enzima è in grado di cambiare la propria forma (per "accomodare" i substrati e formare i prodotti) e di conseguenza variare le proprietà di conduzione elettrica.
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Ponendo un enzima tra due nanoelettrodi, siamo in grado di rilevare la sua attività elettrica e dunque lo svolgersi della reazione enzimatica, ovvero la presenza di reagenti che inibiscono o favoriscono la reazione.
In tal modo è possibile ottenere un sensore molto specifico e addirittura, funzionalizzando opportunamente le biomolecole, consentire l'auto-assemblaggio di "reti" elettroniche basate su un approccio totalmente bottom-up.
Buona lettura ?
 
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Utente 16812

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SINTESI E CONCLUSIONI
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Nei diodi Laser la frequenza di emissione della luce dipende sia dal tipo di materiale utilizzato che dallo spessore del "pozzo quantico"; ciò vuol dire che le proprietà di un nanomateriale dipendono dalla sua dimensione e dalla sua forma.
In particolare, vengono esaltati quei fenomeni che coinvolgono la superficie di un materiale poiché più piccole sono le dimensioni delle particelle e più è grande il rapporto superficie/volume.
Ne troviamo un esempio nelle marmitte catalitiche, in cui si sfrutta l'oro (anziché il platino, il rodio e il palladio, più costosi e tossici dell'oro), chimicamente inerte su scala macroscopica, per la catalisi del monossido di carbonio (CO, tossico) in prodotti non nocivi come CO2 e H2O.
Un aspetto interessante da considerare è che l'elevato rapporto superficie/volume, alla nanoscala, rende preponderanti le interazioni intermolecolari (le forze di Van der Waals) ed elettromagnetiche rispetto alla forza di gravità.
Un esempio straordinario è dato dal cosiddetto "effetto geco", in cui la somma di numerose piccole forze di adesione, di origine elettrostatica, è in grado di superare la forza di gravità.
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La particolare nanostruttura "gerarchica" dei polpastrelli delle zampe del geco (le lamelle di ciascun dito sono suddivise in "sete", a loro volta costituite da centinaia di "spatole", di larghezza nanometrica) gli dona un'abilità adesiva straordinaria (il geco è in grado di aderire a superfici verticali perfettamente lisce o a soffitti), non dovuta a sistemi di ventose o di uncini ma a deboli forze di Van der Waals, il cui elevato numero di interazioni dà una risultante in grado di contrastare la gravità.
E' possibile sviluppare materiali adesivi che imitano l'effetto geco, nanostrutturando opportunamente una superficie.
Un ulteriore esempio del legame tra la struttura di un materiale e le sue proprietà è fornito dal diamante e dalla grafite, le due forme allotropiche tipiche del carbonio.
Entrambi i minerali sono costituiti da atomi di carbonio (in questo contesto si parla di "polimorfismo") ma hanno una struttura cristallina differente (e differenti proprietà chimico-fisiche).
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Recentemente sono state scoperte numerose altre forme allotropiche del carbonio, tra cui i fullereni (la cui forma sferica più frequente è il C60, chiamato BUCKMINSTERFULLERENE), i nanotubi di carbonio (BUCKTUBE) e il grafene.

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Queste strutture hanno differenti proprietà meccaniche, termoconduttive ed elettriche, ad esempio i nanotubi possono essere utilizzati come isolanti, semiconduttori o conduttori, in base al modo in cui la lamina si avvolge.
Si possono ottenere nuovi biomateriali e "smart materials", questi ultimi in grado di modificare la loro struttura (e quindi le loro proprietà) se sottoposti a stimoli ambientali.
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Il grafene e altri polimeri conduttivi possono essere integrati nei tessuti (che incorporano sensori e attuatori), ottenendo
"smart clothes", in cui le stesse strutture tessili eseguono funzioni elettriche ed elettroniche.
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Occorre ricordare, infine, che per il progetto e la lavorazione di nanomateriali si sfruttano le leggi della fisica quantistica, per cui è fondamentale, ai fini tecnologici, la comprensione del comportamento quantistico di tali materiali (su scala nanometrica).
E' anche possibile che esperimenti alla nanoscala consentano, viceversa, di comprendere meglio alcuni aspetti della fisica quantistica tuttora dibattuti (come ad es. il "problema della misura").
Nel 1993 tre scienziati americani (Eigler, Lutz e Crommie), utilizzando un microscopio STM ad effetto tunnel, mostrarono la formazione di un "quantum corral" (recinto quantico), nano-oggetti formati da atomi adsorbiti, a forma di cerchio, da un substrato metallico a singolo cristallo (mono-cristallino).
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Furono posti 48 atomi di ferro su una superficie di rame Cu(111), dall'immagine al microscopio STM si osservano, all'interno del "recinto", le onde stazionarie di densità elettronica, come previsto dall'equazione di Schrodinger (per le opportune condizioni al contorno).
Venne anche dimostrato il cosiddetto "quantum mirage", ponendo alcuni atomi di cobalto, a forma ellittica, su un substrato di rame: quando un atomo di cobalto viene collocato su uno dei fuochi dell'ellisse, compare un miraggio dell'atomo nell'altro fuoco, nell'immagine al microscopio STM.
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Da notare che, nonostante l'atomo sia presente in un solo fuoco, le proprietà elettroniche del "gas" elettronico nei due fuochi sono le stesse.
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