Studi clinici
Un’analisi retrospettiva su 408 pazienti con batteriemia da pneumococco identificati nel corso di 10 anni a partire dall’isolamento microbiologico ha evidenziato una riduzione della mortalità ospedaliera nei pazienti in cui ad un beta lattamico è stato associato un macrolide (non sono note via di somministrazione, dosaggio e durata del trattamento) rispetto ai trattati senza macrolide. Gli autori evidenziano i numerosi limiti metodologici del confronto e concludono sulla necessità di uno studio prospettico. Nessuna conclusione può essere tratta rispetto al motivo di questa differenza; la possibilità che esista un effetto che va al di là di quello antibatterico è una delle tante ipotesi perseguibili. In un RCT versus placebo, la claritromicina somministrata per via endovenosa per 3 giorni, in aggiunta alla restante terapia antibiotica, in 200 pazienti con polmonite e sepsi associata al ventilatore meccanico ha ridotto il tempo di ventilazione meccanica, ma non ha avuto alcun impatto sulla mortalità. Un'analisi post hoc dei dati di uno RCT (LARMA trial) su 235 pazienti in ARDs con Acute Lung Injury (ALI) ha permesso di osservare che i 47 pazienti che avevano assunto un macrolide (non è noto per quale via, a quale dose e per quanto tempo) presentavano una riduzione della mortalità a 3 mesi rispetto a coloro che assumevano altri antibiotici. Anche in questo caso si tratta di dati preliminari associati ad un elevato numero di confondenti che non consentono di trarre alcuna conclusione. I macrolidi, a causa di possibili effetti antinfiammatori e forse antivirali, sono stati studiati in pazienti con gravi infezioni respiratorie virali (RVI), ma con risultati incoerenti. In un RCT in aperto di pazienti ospedalizzati con influenza (n=107), la terapia di associazione precoce con claritromicina, naprossene e oseltamivir è stata associata alla riduzione della mortalità e della durata del ricovero in ospedale rispetto alla monoterapia con oseltamivir. D'altra parte, in uno studio osservazionale multicentrico (n=733), i macrolidi non sono stati associati a una migliore sopravvivenza in pazienti in condizioni critiche con influenza A (H1N1) pdm09. In un RCT, in cui 50 pazienti adulti ricoverati in ospedale per una infezione da virus influenzale sono stati randomizzati a ricevere oseltamivir e azitromicina o solo oseltamivir, entrambi per 5 giorni, le citochine pro-infiammatorie sono diminuite più rapidamente nel gruppo oseltamivir-azitromicina, ma senza alcuna differenza fra i due gruppi nella clearance virale. In uno studio osservazionale retrospettivo condotto in Arabia Saudita su 349 pazienti con MERS non si è osservata alcuna differenza in termini di mortalità a 90 giorni e di clearance virale fra coloro che hanno assunto macrolidi durante il ricovero rispetto a coloro che non li hanno assunti. Anche in questo caso i dati sono da considerare preliminari per i limiti metodologici del tipo di studio. Per quanto riguarda la COVID-19, l’unica evidenza attualmente disponibile riguarda i risultati preliminari di un recentissimo studio, condotto in Francia su pazienti ricoverati affetti da COVID-19 asintomatici, sintomatici con disturbi a carico delle alte vie respiratorie o sintomatici con disturbi alle basse vie respiratorie con caratteristiche non meglio precisate. Si tratta di uno studio a braccio singolo in cui a 20 pazienti è stata somministrata idrossiclorochina in confronto a una coorte controllo costituita da 16 pazienti che non assumevano il farmaco. In alcuni pazienti del gruppo che ha assunto idrossiclorochina, a giudizio clinico, è stata aggiunta azitromicina (6/20 pazienti) per la prevenzione delle sovrainfezioni batteriche. In tale analisi preliminare, gli autori hanno osservato una percentuale più elevata di clearance virale (esito primario dello studio) nei pazienti che avevano assunto azitromicina e idrossiclorochina rispetto a quelli trattati con la sola idrossiclorochina. La forza e l’attendibilità del dato tuttavia vengono messe in discussione da importanti criticità metodologiche: studio non randomizzato, bassa numerosità campionaria complessiva (n=36), numero estremamente piccolo dei soggetti esposti ad azitromicina (n=6), numero relativamente elevato - 6/26 - di persi al follow-up ). Infine, un recentissimo report relativo ad un piccolo studio francese, ha mostrato che su 11 pazienti con COVID-19 ricoverati consecutivamente e trattati con idrossiclorochina più azitromicina secondo lo stesso schema posologico usato da Gautret et al., uno è deceduto, 2 sono stati trasferiti in terapia intensiva, in uno il trattamento è stato interrotto per l’allungamento dell’intervallo QT. Dei 10 pazienti sopravvissuti, 8 erano ancora positivi per SARS-CoV2 5-6 giorni dopo l’inizio del trattamento.
A fronte delle suddette incertezze in termini di beneficio, si ritiene utile sottolineare il rischio potenziale del prolungamento dell'intervallo QT indotto dall'associazione dei due farmaci (in particolare in presenza di fattori di rischio noti).