Era il 1968 quando la città di New York installò nel distretto commerciale di Olean la prima telecamera di sicurezza per combattere il crimine. Negli anni ottanta l’uso di telecamere a circuito chiuso si diffuse in tutto il paese e quarant’anni dopo quella prima telecamera ad Olean gli Stati Uniti potevano contare su circa 30 milioni di telecamere di sorveglianza, una cifra in continua crescita.
L’utilizzo di questa tecnologia venne presto adottata da altri paesi desiderosi di incrementare la qualità del controllo delle città più popolose e densamente abitate. Dopo numerosi test negli anni settanta e ottanta, i governi inglesi si affidarono sempre di più alle telecamere di sicurezza per la prevenzione e la lotta al crimine; se nel 1990 le telecamere in Inghilterra e Galles erano solo 100, nel 2002 il loro numero era salito a 40 mila e a 4.2 milioni alla metà dello stesso decennio. Si stima che nel Regno Unito ci siano oggi circa 5 milioni di telecamere a circuito chiuso, una ogni undici abitanti, di cui 400 mila nella sola Londra, una delle città più monitorate al mondo.
Fino a qualche decennio fa solo determinati paesi occidentali avevano l’interesse e le risorse sufficienti per sfruttare così massicciamente questo tipo di tecnologia. Le cose sono cambiate da quando la formidabile crescita economica di alcuni paesi illiberali ha messo a disposizione dei loro governi risorse economiche da dedicare al controllo della società e dell’ordine pubblico prima impensabili. Oggi è la Cina a fare la parte del leone, o meglio del drago, nel settore della videosorveglianza.