Parla Claudio Amendola "Felice di essere Monnezza"

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Carlo Vanzina gira "Il ritorno del Monnezza" e Claudio Amendola è Rocky Giraldi, figlio del celeberrimo poliziotto sui generis interpretati tra gli anni '70 e '80 da Tomas Milian.

ROMA - "Io ero un fan scatenato di Monnezza, come tanti della mia generazione", confessa Claudio Amendola. "E non ditemi che dobbiamo tutto a Tarantino. Abbiamo sputato per decenni su questi film, ora arriva il re del cinema fico a insegnarci che erano eccezionali: non esageriamo, dai. Tutti i generi popolari hanno i loro meriti, a partire dal fatto fondamentale che hanno tenuto in vita il cinema facendo lavorare un sacco di gente. In tutti quei film con Tomas Milian c'era una tematica di fondo molto popolare. Era un Robin Hood dei poveri, contro le sopraffazioni combatte i criminali veri ed è indulgente verso i criminali da strapazzo. Erano film che pagavano lo scotto di essere di serie B perché la serie A era molto alta. Ma non c'era una via di mezzo, quel panorama che si è riformato oggi, al contrario privo tanto di grandi personalità come di B movie. I grandi nostri registi di oggi non sono grandi come quelli di ieri, si è riempito il buco in mezzo e il B movie è stato soppiantato dalle B fiction. Mi sento a mio agio nei panni di questo buono che difende i marocchini che vendono le borse finte alle bancarelle e se la prende con la bionda che parcheggia la Cayenne al posto degli handicappati senza permesso. È il segreto della semplicità vanziniana".

Pensava che prima o poi avrebbe interpretato questo ruolo?
"Da prima di fare l'attore. Che da ragazzo non pensavo per niente di fare, ma mi trovavo davanti allo specchio a imitare Tomas facendo la voce di papà. Poi per me è tutta una storia di famiglia: la voce di papà che era il 50 per cento del personaggio, zio Mario Amendola sceneggiatore, Corbucci era un altro zio per me. Ci sono cresciuto. Papà un po' ne soffriva: sì, gli amici miei gli chiedevano di rifare la battuta di De Niro in 'C'era una volta in America', ma soprattutto il 'ma che te stai a inventà?' di Monnezza".

Un dubbio, dica lei se è un luogo comune. Più di altri attori lei corre il rischio dello stereotipo: il tipo dalle maniere spicce e ruvide ma sempre con un fondo di onestà e sentimentalismo. Ultima conferma la miniserie tv accanto ad Alessio Boni..."Io devo tutto ai luoghi comuni. Dice: non hai paura che non ti fanno fare più altro? No, mi sento molto fortunato a riuscire a rappresentare un personaggio così. L'85 per cento dei protagonisti della cinematografia mondiale è fatto da criminali, poliziotti, cattivi che si redimono, maledetti ma con un cuore buono. Ho fatto la mia fortuna grazie a loro. E poi sono un po' così anche nella vita. Non mi sento per niente stretto nel cliché, lo benedico. Non mi offrono di fare il violinista? È giusto. Sono stato subito fortunato io, anche se purtroppo ho 'mancato' Sergio Leone e Pasolini, e penso di fare il lavoro più bello del mondo che oltretutto, diversamente dal calciatore e dalla rockstar che durano poco, cresce con te. Non sono come quei colleghi che lo vivono come un mestiere sofferto e tormentato".

I due o tre ruoli dai quali si è sentito meglio rappresentato.
"Ne cito uno, 'Mery per sempre', il più duro e faticoso. Sono grato a Marco Risi per avermi trattato male come mi ha trattato per farmi uscire la rabbia necessaria a condividere un dolore e una cattiveria che io, ragazzo borghese, non conoscevo".
 

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