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"Uscirne gratis è difficile, ma lo Stato non può tassare sempre i soliti noti"
di Ignazio Dessì
La crisi di Eurolandia, con casi eclatanti come quello della Grecia, pone l’esigenza di misure drastiche per risanare le finanze pubbliche. La Bce ha esortato i governi ad adottare misure incisive per consentire al Vecchio Continente di riprendere a crescere. Più si “aspetterà a correggere gli squilibri, maggiore risulterà l'aggiustamento necessario e più elevato sarà il rischio di subire un danno in termini di reputazione e fiducia”, si sostiene. Anche l’Italia, che si sforza di contenere il rilevante debito pubblico ma fatica su crescita e competitività, si prepara ad adottare provvedimenti per inseguire crescita e occupazione. Ma il rischio è che gli eventuali sacrifici incidano sempre sugli stessi, leggi lavoratori dipendenti e pensionati. E poi basterà intervenire sull’euro per evitare che i problemi si ripetano? E non c’è forse il rischio di vedere allargarsi la distanza tra Nord e Sud d'Europa e d'Italia? Su questi argomenti il professor Marcello De Cecco, docente di storia della finanza e della moneta alla Scuola Normale di Pisa, ex insegnante della London School of Economics e dell'Ecole Nationale d'Administration di Parigi, ha idee chiarissime.
Professore, basta tutelare l’euro e introdurre misure drastiche di contenimento del debito pubblico per superare la crisi ed avere davvero una Europa unita?
“All’Europa serve una vera integrazione politica, altrimenti questi problemi si riproporranno continuamente. Tanto è vero che in occasione di questa crisi tutto si è messo in moto verso una soluzione solo quando il presidente Usa ha detto alla Merkel che bisognava sbrigarsi. Senza unione e regolazione politica si sfascia l’euro e si sfascia pure il resto. Una banca centrale e una moneta comune non bastano senza regolazione politica, e ciò si vede soprattutto quando ci sono difficoltà. Per questo è indispensabile rimboccarsi le maniche e integrare l’Europa politicamente”.
Altrimenti?
“Altrimenti l’alternativa è piuttosto sgradevole da considerare. Quando è venuto fuori l’euro, un vecchio professore americano molto illustre, ha scritto che, senza certe condizioni, questa moneta unica è capace di dividere l’Europa e probabilmente metterla un’altra volta in guerra. Non è tutto uno scherzo e, visto quello che sta succedendo, comincio a pensare che quel signore non avesse completamente torto sulle possibilità distruttive di uno strumento simile, non integrato opportunamente in tutto un suo contesto di politica”.
Lei ha recentemente messo in evidenza che, di questo passo, si rischia di avere due Europe, quella ricca e quella povera, con ovvie conseguenze anche sull’Italia, dove le due velocità potrebbero aumentare le distanze tra Nord e Sud.
“Sono cose che si dicono in linea teorica, perché sfasciare l’euro è veramente difficile, e si dovrebbero realizzare tutta una serie di scelte improponibili. Ma se ciò dovesse succedere ci sarebbe una escalation che potrebbe portare al nazionalismo sfrenato e, dal nazionalismo, a qualche altra cosa. E io, sinceramente, questo non lo vorrei vedere, visto che sono nato nel ‘39 e ciò che ho visto nella mia vita mi basta ampiamente”.
Cosa bisogna fare per evitare all’Italia il contagio greco?
“Credo che quanto messo in campo dalla Ue con l’accordo in extremis della Germania, e cioè che la Bce faccia da prestatore da ultima istanza, comprando il debito pubblico sul mercato dei vari paesi, sia un passo avanti. Se c’è un regolatore che compra e vende, a seconda di come si pongono le situazioni, il mercato viene stabilizzato. Finora un simile strumento non c’era e bisognava crearlo. Del resto, in occasione del varo dell’euro, c’è stato un buon numero di persone, tra cui il sottoscritto, che hanno evidenziato come fosse necessario un prestatore di ultima istanza. Fummo anche buoni profeti nel prevedere che in mancanza, al primo stormire vero di fronde, lo avrebbero creato, altrimenti sarebbero stati guai. Del resto gli Usa ce l’hanno, l’Italia di prima ce l’aveva, la Germania di prima ce l’aveva, ce l’avevano tutti. L’euro non l’aveva perché non si voleva che la Banca centrale comprasse il debito pubblico di qualche paese in particolare facendo torto ad altri”.
Il Fmi, che lei conosce bene per esserne stato consulente, calca molto la mano sul fatto che l’Italia è riuscita a controllare il debito pubblico ma non a brillare in competitività.
“La competitività in Italia non c’è per due motivi: perché siamo cresciuti veramente poco negli ultimi 10 anni, e perché gli investimenti si sono messi in sciopero e non si fanno. Quelli pubblici mancano perché lo Stato si è messo a cercare il rigore, ma difettano soprattutto quelli privati. Ovvio che la competitività sia latitante. Bisogna considerare, inoltre, la non attivazione di strumenti per punire chi ha aumentato i prezzi quando è arrivato l’euro. Una cosa gravissima, delle cui conseguenze ci siamo resi conto amaramente. Basti pensare al valore di uno stipendio e a quale differenza c’è, quanto a potere d’acquisto, rispetto a 10 anni fa. Tutti questi motivi hanno fatto sì che la nostra competitività, in particolare nei confronti della Germania, sia fortemente diminuita”.
Come si fa adesso a ripartire?
“Aumentando le possibilità per lo Stato di procurarsi dei redditi al di fuori della tassazione dei redditi fissi, che è l’unica cosa che ha dimostrato di saper fare (problema che ha pure la Grecia). E combattendo tra le altre cose l’evasione fiscale. Sperando inoltre che le trovate non siano solo quelle di legittimare i soldi portati illegalmente all’estero dietro pagamento di un risicato 5%. Una misura sbagliata questa, perché i soldi non vengono in realtà riportati in Italia. Restano all’estero, con la sola differenza che sappiamo che ci sono. Soluzioni queste, che incentivano per altro la ripetizioni di quei comportamenti”.
Ma fenomeni come quello di cui sta parlando incidono sulla possibilità di ripresa?
“I soldi che finiscono oltre i confini nazionali sono veramente tanti. Una cosa paurosa. Tra coloro che li portano fuori ci sono grossi capitalisti ma anche tanti piccoli imprenditori e commercianti. Stiamo parlando di risorse considerevoli tolte agli investimenti. In Germania, per esempio, queste cose accadono in maniera marginale. Le imprese tedesche investono. E, a differenza dalle imprese italiane, non prendono a prestito un sacco di soldi. Sarebbe interessante, inoltre, vedere cosa ci fanno gli imprenditori con tali soldi”.
Noi poi abbiamo anche i costi della corruzione.
“Sì, un’altra cosa tremenda. Ma del resto corruzione, evasione ed economia illegale vanno sempre a braccetto”.
La paura di tanti è che gli Stati d’Europa, per mantenere il patto di stabilità, finiscano col fare sempre le solite azioni, facendo pagare il conto sempre agli stessi, i dipendenti e i pensionati.
“In Italia pare stiamo andando in direzione opposta a quella necessaria, tutelando tutti i ceti sociali tranne i lavoratori dipendenti. La verità è che i partiti sono a favore di certi lavoratori autonomi, Da una parte lo si dice chiaramente, dall’altra no. Ho sentito il presidente del Consiglio a Piazza San Giovanni urlare “volete voi il diritto di pagare in contanti o no?”. Ciò equivale in molti casi al poter aggirare il fisco. Eppure quella possibilità in Italia entra quasi a far parte dei diritti civili. Ma anche “gli altri” (la sinistra ndr) non si dannano l’anima per cambiare le cose, tanto che l’unico ministro che correva dietro gli evasori in maniera vera, Vincenzo Visco, non l’hanno ripresentato alle elezioni. Eppure era efficiente, tanto che mi è capitato di sentire un imprenditore del Nord confessare che la faccia di Visco se la sogna ancora di notte. Significa che stava facendo bene, eppure non l’hanno ricandidato. E' la prova del nove che anche a sinistra si ha paura dell’impopolarità di una posizione dura nei confronti dell’evasione fiscale”.
Ma lei in definitiva cosa pensa di questa crisi, ha una sensazione positiva e crede si riesca ad uscirne, oppure ha paura che si pagheranno davvero dei prezzi pesanti?
“Mah, uscirne gratis mi pare molto difficile perché i tassi di crescita non stanno ripartendo granché. Poi siamo poco intraprendenti. Imitiamo il modello tedesco e aspettiamo che ci salvino l’America, il Brasile e la Cina. Aspettiamo che i tedeschi ripartano e che, magari, in Veneto fabbrichino le ruote per un giochino che poi loro venderanno ai cinesi. Non abbiamo un modello interno, aspettiamo che qualcuno ci trascini sperando che i nostri costi non siano troppo alti e possiamo risultare competitivi. Il messaggio che viene dalla Germania ormai è quello. Dice: dovete fare come noi, portare al 50% la produzione perché ormai l’Europa è un paese vecchio e il futuro del consumo, della domanda è mediocre. Quindi comprendetelo come noi e mettetevi a fare le stesse cose. Tutti insieme andremo a esportare nei Paesi in cui ci sono i bambini, ci sono le domande, c’è la nuova classe media e così via. Una visione davvero di lungo periodo. Per altro si tratta di una ricetta difficile da applicare in tutta Europa, perché trasformare la Grecia in Germania non è tanto facile”.
di Ignazio Dessì
La crisi di Eurolandia, con casi eclatanti come quello della Grecia, pone l’esigenza di misure drastiche per risanare le finanze pubbliche. La Bce ha esortato i governi ad adottare misure incisive per consentire al Vecchio Continente di riprendere a crescere. Più si “aspetterà a correggere gli squilibri, maggiore risulterà l'aggiustamento necessario e più elevato sarà il rischio di subire un danno in termini di reputazione e fiducia”, si sostiene. Anche l’Italia, che si sforza di contenere il rilevante debito pubblico ma fatica su crescita e competitività, si prepara ad adottare provvedimenti per inseguire crescita e occupazione. Ma il rischio è che gli eventuali sacrifici incidano sempre sugli stessi, leggi lavoratori dipendenti e pensionati. E poi basterà intervenire sull’euro per evitare che i problemi si ripetano? E non c’è forse il rischio di vedere allargarsi la distanza tra Nord e Sud d'Europa e d'Italia? Su questi argomenti il professor Marcello De Cecco, docente di storia della finanza e della moneta alla Scuola Normale di Pisa, ex insegnante della London School of Economics e dell'Ecole Nationale d'Administration di Parigi, ha idee chiarissime.
Professore, basta tutelare l’euro e introdurre misure drastiche di contenimento del debito pubblico per superare la crisi ed avere davvero una Europa unita?
“All’Europa serve una vera integrazione politica, altrimenti questi problemi si riproporranno continuamente. Tanto è vero che in occasione di questa crisi tutto si è messo in moto verso una soluzione solo quando il presidente Usa ha detto alla Merkel che bisognava sbrigarsi. Senza unione e regolazione politica si sfascia l’euro e si sfascia pure il resto. Una banca centrale e una moneta comune non bastano senza regolazione politica, e ciò si vede soprattutto quando ci sono difficoltà. Per questo è indispensabile rimboccarsi le maniche e integrare l’Europa politicamente”.
Altrimenti?
“Altrimenti l’alternativa è piuttosto sgradevole da considerare. Quando è venuto fuori l’euro, un vecchio professore americano molto illustre, ha scritto che, senza certe condizioni, questa moneta unica è capace di dividere l’Europa e probabilmente metterla un’altra volta in guerra. Non è tutto uno scherzo e, visto quello che sta succedendo, comincio a pensare che quel signore non avesse completamente torto sulle possibilità distruttive di uno strumento simile, non integrato opportunamente in tutto un suo contesto di politica”.
Lei ha recentemente messo in evidenza che, di questo passo, si rischia di avere due Europe, quella ricca e quella povera, con ovvie conseguenze anche sull’Italia, dove le due velocità potrebbero aumentare le distanze tra Nord e Sud.
“Sono cose che si dicono in linea teorica, perché sfasciare l’euro è veramente difficile, e si dovrebbero realizzare tutta una serie di scelte improponibili. Ma se ciò dovesse succedere ci sarebbe una escalation che potrebbe portare al nazionalismo sfrenato e, dal nazionalismo, a qualche altra cosa. E io, sinceramente, questo non lo vorrei vedere, visto che sono nato nel ‘39 e ciò che ho visto nella mia vita mi basta ampiamente”.
Cosa bisogna fare per evitare all’Italia il contagio greco?
“Credo che quanto messo in campo dalla Ue con l’accordo in extremis della Germania, e cioè che la Bce faccia da prestatore da ultima istanza, comprando il debito pubblico sul mercato dei vari paesi, sia un passo avanti. Se c’è un regolatore che compra e vende, a seconda di come si pongono le situazioni, il mercato viene stabilizzato. Finora un simile strumento non c’era e bisognava crearlo. Del resto, in occasione del varo dell’euro, c’è stato un buon numero di persone, tra cui il sottoscritto, che hanno evidenziato come fosse necessario un prestatore di ultima istanza. Fummo anche buoni profeti nel prevedere che in mancanza, al primo stormire vero di fronde, lo avrebbero creato, altrimenti sarebbero stati guai. Del resto gli Usa ce l’hanno, l’Italia di prima ce l’aveva, la Germania di prima ce l’aveva, ce l’avevano tutti. L’euro non l’aveva perché non si voleva che la Banca centrale comprasse il debito pubblico di qualche paese in particolare facendo torto ad altri”.
Il Fmi, che lei conosce bene per esserne stato consulente, calca molto la mano sul fatto che l’Italia è riuscita a controllare il debito pubblico ma non a brillare in competitività.
“La competitività in Italia non c’è per due motivi: perché siamo cresciuti veramente poco negli ultimi 10 anni, e perché gli investimenti si sono messi in sciopero e non si fanno. Quelli pubblici mancano perché lo Stato si è messo a cercare il rigore, ma difettano soprattutto quelli privati. Ovvio che la competitività sia latitante. Bisogna considerare, inoltre, la non attivazione di strumenti per punire chi ha aumentato i prezzi quando è arrivato l’euro. Una cosa gravissima, delle cui conseguenze ci siamo resi conto amaramente. Basti pensare al valore di uno stipendio e a quale differenza c’è, quanto a potere d’acquisto, rispetto a 10 anni fa. Tutti questi motivi hanno fatto sì che la nostra competitività, in particolare nei confronti della Germania, sia fortemente diminuita”.
Come si fa adesso a ripartire?
“Aumentando le possibilità per lo Stato di procurarsi dei redditi al di fuori della tassazione dei redditi fissi, che è l’unica cosa che ha dimostrato di saper fare (problema che ha pure la Grecia). E combattendo tra le altre cose l’evasione fiscale. Sperando inoltre che le trovate non siano solo quelle di legittimare i soldi portati illegalmente all’estero dietro pagamento di un risicato 5%. Una misura sbagliata questa, perché i soldi non vengono in realtà riportati in Italia. Restano all’estero, con la sola differenza che sappiamo che ci sono. Soluzioni queste, che incentivano per altro la ripetizioni di quei comportamenti”.
Ma fenomeni come quello di cui sta parlando incidono sulla possibilità di ripresa?
“I soldi che finiscono oltre i confini nazionali sono veramente tanti. Una cosa paurosa. Tra coloro che li portano fuori ci sono grossi capitalisti ma anche tanti piccoli imprenditori e commercianti. Stiamo parlando di risorse considerevoli tolte agli investimenti. In Germania, per esempio, queste cose accadono in maniera marginale. Le imprese tedesche investono. E, a differenza dalle imprese italiane, non prendono a prestito un sacco di soldi. Sarebbe interessante, inoltre, vedere cosa ci fanno gli imprenditori con tali soldi”.
Noi poi abbiamo anche i costi della corruzione.
“Sì, un’altra cosa tremenda. Ma del resto corruzione, evasione ed economia illegale vanno sempre a braccetto”.
La paura di tanti è che gli Stati d’Europa, per mantenere il patto di stabilità, finiscano col fare sempre le solite azioni, facendo pagare il conto sempre agli stessi, i dipendenti e i pensionati.
“In Italia pare stiamo andando in direzione opposta a quella necessaria, tutelando tutti i ceti sociali tranne i lavoratori dipendenti. La verità è che i partiti sono a favore di certi lavoratori autonomi, Da una parte lo si dice chiaramente, dall’altra no. Ho sentito il presidente del Consiglio a Piazza San Giovanni urlare “volete voi il diritto di pagare in contanti o no?”. Ciò equivale in molti casi al poter aggirare il fisco. Eppure quella possibilità in Italia entra quasi a far parte dei diritti civili. Ma anche “gli altri” (la sinistra ndr) non si dannano l’anima per cambiare le cose, tanto che l’unico ministro che correva dietro gli evasori in maniera vera, Vincenzo Visco, non l’hanno ripresentato alle elezioni. Eppure era efficiente, tanto che mi è capitato di sentire un imprenditore del Nord confessare che la faccia di Visco se la sogna ancora di notte. Significa che stava facendo bene, eppure non l’hanno ricandidato. E' la prova del nove che anche a sinistra si ha paura dell’impopolarità di una posizione dura nei confronti dell’evasione fiscale”.
Ma lei in definitiva cosa pensa di questa crisi, ha una sensazione positiva e crede si riesca ad uscirne, oppure ha paura che si pagheranno davvero dei prezzi pesanti?
“Mah, uscirne gratis mi pare molto difficile perché i tassi di crescita non stanno ripartendo granché. Poi siamo poco intraprendenti. Imitiamo il modello tedesco e aspettiamo che ci salvino l’America, il Brasile e la Cina. Aspettiamo che i tedeschi ripartano e che, magari, in Veneto fabbrichino le ruote per un giochino che poi loro venderanno ai cinesi. Non abbiamo un modello interno, aspettiamo che qualcuno ci trascini sperando che i nostri costi non siano troppo alti e possiamo risultare competitivi. Il messaggio che viene dalla Germania ormai è quello. Dice: dovete fare come noi, portare al 50% la produzione perché ormai l’Europa è un paese vecchio e il futuro del consumo, della domanda è mediocre. Quindi comprendetelo come noi e mettetevi a fare le stesse cose. Tutti insieme andremo a esportare nei Paesi in cui ci sono i bambini, ci sono le domande, c’è la nuova classe media e così via. Una visione davvero di lungo periodo. Per altro si tratta di una ricetta difficile da applicare in tutta Europa, perché trasformare la Grecia in Germania non è tanto facile”.